Due soluzioni alla disabilità: un corsetto e un software

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Frida e Amélie, sono le due soluzioni alla disabilità vincitrici dell’ottava edizione di Make to Care.

Molti di noi di fronte alla disabilità si mostrano rassegnati, vedendola come una malattia dalla quale non si può guarire, senza soluzioni. Di conseguenza, se conosciamo qualcuno in questa situazione, non sappiamo cosa fare, oltre a stargli vicino offrendogli una spalla su cui poter piangere. Siamo sicuri che non possiamo aiutarli in un altro modo?  Ed è qui che ci sbagliamo, e così ce lo hanno dimostrato due donne grazie ai loro progetti pensati come due soluzioni alla disabilità.

Frida e Amélie, due progetti che sono nati dalla mente di due donne strabilianti.

Make to Care

Make to Care è il contest di Sanofi che premia ormai da anni le diverse soluzioni innovative al servizio dei disabili. L’obiettivo dell’azienda guidata da Marcello Cattani è quello di valorizzare i giovani talenti che si impegnano attivamente nella società, al fine di fornire aiuto a chi si trova in questa situazione. Probabilmente, le nuove generazioni hanno una marcia in più, forse anche un’attenzione maggiore verso la società e i suoi problemi.

In questi due progetti, l’innovazione si è messa al servizio dell’inclusione, dimostrando come alcune volte sia necessario sfidare i confini della scienza. Una bella sfida, che comporta coraggio ma anche tanta voglia di mettersi in gioco. Sicuramente, un rischio da correre per migliorare la vita delle persone.

Frida e Amélie: due soluzioni alla disabilità

Frida e Amélie sono i due progetti che hanno vinto l’ottava edizione di Make to Care. Una designer e una pedagogista hanno realizzato due strumenti utili a migliorare la vita di chi convive con alcune forme di disabilità. Il messaggio che queste due donne hanno voluto diffondere è veramente molto importante. È evidente come la tecnologia possa sfidare la disabilità, dimostrando come si possa andare oltre a qualsiasi tabù.



Frida è il progetto ideato dalla designer siciliana Yasmine Granata, che consiste in una nuova tipologia di ortesi con l’obiettivo di correggere la scoliosi. Non è solo un semplice corsetto da indossare per risolvere un problema come quello della scoliosi, ma è un vero e proprio accessorio di moda. La sua attivazione è collegata a degli elettrodi e a dei pad che potenziano la muscolatura paravertebrale. L’aspetto più interessante consiste nella possibilità di controllare a distanza il sistema.

Yasmine Granata ha ammesso che:

«Mi sono sentita come Frida Khalo, costretta in un’armatura in plastica che ho dovuto tenere dai 12 ai 18 anni, trascorsa indossandola per 23 ore al giorno, che non mi ha permesso di vivere pienamente tutta la mia adolescenza. Come me, 480 milioni di persone nel mondo soffrono di scoliosi, di queste l’80% sono adolescenti e sette casi su 10 sono ragazze».

Amélie – Eye tracking Suite è il progetto pensato e realizzato dalla pedagogista Samantha Giannatiempo. Questo progetto cerca di incentivare la comunicazione e la comprensione tra caregiver e i pazienti. L’obiettivo è quello di permettere il movimento degli occhi grazie a un software che collega computer, smartphone e una piattaforma online. Questo sistema è stato pensato anche per essere controllato e supervisionato a distanza da parte dei terapisti. Amélie è nato per aiutare le bambine con la Sindrome di Rett.

Make to Care promuove due soluzioni alla disabilità

Lo stesso Marcello Cattani ha ricordato che Make to Care nasce con lo scopo di contribuire alla nascita di una cultura dell’inclusione, sensibilizzando maggiormente il concetto di disabilità. Tutti i progetti, che per ora hanno vinto, nascono da delle idee rivoluzionarie e altrettanto geniali.

Marcello Cattani ha spiegato che:

«Il nostro approccio all’innovazione, che da sempre guarda al di là delle attività che esercitiamo come azienda farmaceutica, è basato su un dialogo aperto a tutti i livelli della società […]».

Un impegno collettivo che sfocia in un aiuto alla società. Soprattutto perché ancora troppa gente fa fatica a relazionarsi con chi vive una condizione di disabilità. In molti continuano a vedere la persona disabile come un estraneo. Questa situazione ci permette di aprire gli occhi, perché dimostra come non ci sia abbastanza informazione e comunicazione.

Chi non vive questa condizione ripone meno fiducia in chi la vive quotidianamente. Ciò significa che, se sei disabile sai quanta fatica si fa per ottenere qualsiasi cosa, e sei in un certo senso anche più positivo. In poche parole, hai maggiore consapevolezza delle tue potenzialità, invece chi non è disabile o non vive con una persona in questa situazione tende a sottovalutare le sue capacità.

È necessario lavorare maggiormente e con più tenacia sulla comunicazione, sottolineando come la disabilità sia un argomento molto comune e non motivo di vergogna.

 

Patricia Iori

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