Due generali dei Carabinieri indagati ma intoccabili

Effetti del giglio magico ormai appassito. Il consiglio dei ministri, su proposta del ministro della Difesa (pardon, della “guerra”), Roberta Pinotti, ha prorogato l’incarico per il comandante generale dei Carabinieri Tullio Del Sette, indagato per favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ufficio. L’ipotesi accusatoria è che il generale abbia riferito ai vertici di Consip (centrale acquisti della pubblica amministrazione italiana) l’esistenza di un’indagine della Procura di Napoli su presunti appalti truccati. Tra gli altri indagati c’è anche il generale Emanuele Saltalamacchia, ex comandante regionale dell’Arma in Toscana, ma anche il ministro dello Sport Luca Lotti, ex sottosegretario a Palazzo Chigi con Matteo Renzi. Nella conferenza stampa di fine anno il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni aveva confermato la propria fiducia sia a Del Sette sia a Lotti. Un carabiniere non è un civile e per questo motivo deve essere necessariamente al di sopra di ogni sospetto,  figuriamoci se si tratta del Comandante Generale dell’Arma.

C’è di peggio e di ben più grave che calpesta le regole dello Stato di diritto.  Il segreto investigativo è ormai carta straccia. Una norma passata sotto silenzio impone agli investigatori di polizia, carabinieri e guardia di finanza di trasmettere le informative di reato, segrete, ai superiori. Ma così anche le inchieste più delicate su membri del governo, parlamentari, amministratori locali possono arrivare sui tavoli dei ministeri. Il governo potrà venire a sapere delle indagini sui politicanti anche nella fase in cui dovrebbero essere segrete. In virtù di una norma, passata inosservata l’estate scorsa. L’imbroglio spunta dall’articolo 18 del decreto legislativo numero 177 del 19 agosto 2016 che impone l’assorbimento del Corpo forestale dello Stato nell’Arma dei carabinieri. Al quinto comma prevede che, entro sei mesi dall’approvazione della legge, «al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato, trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale».
L’informativa di reato è il primo atto scritto in cui uno o più membri delle forze dell’ordine riassumono i risultati di un’inchiesta, in quel momento coperta da segreto, per trasmetterli alla magistratura, alla Procura di competenza. Il “coordinamento” di cui parla il testo, necessario per evitare doppioni e sovrapposizioni, finora spettava proprio ai magistrati inquirenti. Con la nuova norma, invece, l’informativa dovrà risalire le scale gerarchiche di Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza. E chi sta all’ultimo gradino di quelle gerarchie? I rispettivi ministeri di competenza: Interno, Difesa ed Economia. Così, per esempio, un’inchiesta per corruzione o per mafia, o qualunque indagine che possa mettere in imbarazzo un ministro, un parlamentare, un amministratore locale, potrà arrivare sul tavolo della politica prima che sia resa nota all’interessato, e all’opinione pubblica.

Una normativa simile toccava già i carabinieri, che sono già sottoposti al Testo unico dell’ordinamento militare del 2010. Ora tocca a tutti gli altri. Inoltre, una circolare diramata l’8 ottobre dal capo della polizia Franco Gabrielli (già a capo dei servizi di sicurezza civili), che conferma il dettato della norma e aggiunge che i superiori gerarchici devono essere informati anche degli ulteriori sviluppi “rilevanti” dell’inchiesta, “fino alla fine delle indagini preliminari”. Ma precisa che nel farlo è necessario “preservare il buon esito delle indagini in corso”, e quindi le comunicazioni dovranno essere selezionate in modo “graduale” e al solo scopo di “garantire un adeguato coordinamento informativo”.

Non esiste alcuna ragione che giustifica queste notizie che debbano essere date ai superiori . Solo gli appartenenti alle forze dell’ordine sanno che i dirigenti (da colonnello in su per i militari) con il grado perdono la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria e pertanto non sono tenuti a mantenere la riservatezza e informando ( indovinate chi ?) non commettono reato . La norma era dettata (perdita qualifica ) per evitare che l’ Autorità Giudiziaria potesse prevaricare i vertici delle forze dell’ordine . Con questo il governo saprà in anteprima notizie sulle indagini sugli avversari e su di se per farne l’uso che tutti possono immaginar.

Tangenti Eni, commercio illegale di armi Finmeccanica, sistematico trasferimento delle risorse pubbliche dai servizi sanitari alle multinazionali farmaceutiche (nuovo LEA), cementificazione speculativa del territorio, consigli di amministrazione bancari salvati con il denaro pubblico sottratto allo Stato sociale e così via. A proposito: avete mai sentito nominare Eurogendfor?

 

Gianni Lannes

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