Dubbi Usa sul sostegno all’Ucraina

Dubbi Usa sul sostegno all’Ucraina sostegno Usa all’Ucraina

Michele Marsonet Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane Ultima Voce

Michele Marsonet

Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane


I dubbi Usa sul sostegno all’Ucraina in seguito all’escalation dei conflitti in Medio Oriente, aumentano sempre di più. Dopo l’entrata dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza e l’attacco di Hamas, il presidente Biden è ora sotto il fuoco delle critiche da parte dei repubblicani e di settori del suo stesso partito.


Dopo l’attacco di Hamas e l’entrata dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, la guerra in Ucraina è entrata in un cono d’ombra. Il presidente Biden, finora impegnato a garantire massicci finanziamenti a Kiev, è sotto attacco da parte dei repubblicani e di settori del suo stesso partito, che nutrono dubbi sulla strategia americana volta a contrastare i piani di conquista di Vladimir Putin.

I dubbi suddetti esistevano già prima. Ma ora, con l’elezione faticosissima del nuovo speaker repubblicano della Camera Mike Johnson, vicino a Donald Trump (ma non troppo), il problema si è acuito. I repubblicani (e pure molti democratici) ritengono che gli Stati Uniti, afflitti da un enorme debito federale, non possano al contempo versare miliardi di dollari a Kiev e a Tel Aviv, senza dimenticare che esiste pure il supporto militare a Taiwan.

Biden vorrebbe continuare a sostenere dal punto di vista finanziario e militare tutti gli alleati, ma Johnson ritiene che questo sia impossibile a causa della non brillante situazione dell’economia Usa. Si tratta di una posizione che rispecchia quella del precedente speaker repubblicano Kevin McCarthy, poi destituito e rimpiazzato, dopo interminabili trattative, da Mike Johnson.

In realtà le preoccupazioni americane, assai diffuse nel Congresso, sono causate anche – se non soprattutto – dalla corruzione endemica che caratterizza il mondo politico ucraino, e alla quale Zelensky ha cercato di ovviare silurando ministri e funzionari in grande quantità. Senza tuttavia ottenere risultati decisivi. E si noti che il problema della corruzione era noto sin dagli inizi tanto a Washington quanto a Bruxelles. Biden ha fatto finta di non prestarvi eccessiva attenzione ribadendo la necessità di bloccare l’espansionismo della Federazione Russa.

La drammaticità del conflitto israelo-palestinese ha tuttavia cambiato le carte in tavola. L’amministrazione Usa è convinta che Israele stia correndo un rischio esistenziale, e non è affatto convinta che l’’intervento diretto a Gaza possa risolvere i problemi. Al contrario, il segretario di Stato Antony Blinken ha più volte espresso il timore che tale intervento possa causare un allargamento a macchia d’olio del conflitto, con l’impegno dell’Iran mediante l’utilizzazione di gruppi controllati da Teheran come Hezbollah e i ribelli sciti Houthi dello Yemen che, in effetti, hanno già colpito con missili il territorio israeliano.

Di fronte a tale situazione, Johnson e i repubblicani chiedono con forza di controllare con maggiore attenzione i flussi di denaro a favore di Kiev, subordinandoli a un effettivo sradicamento della corruzione. In ogni caso è evidente che la guerra in Ucraina, di cui ora si parla molto meno, ha perduto la sua centralità, nonostante le reiterate proteste di Zelensky. E a tutto vantaggio, ovviamente, di Vladimir Putin.

 

 

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