Sotto gli incessanti attacchi dei russi, le donne e i bambini delle cliniche per la maternità surrogata in Ucraina si trovano in seria difficoltà: da un lato i rischi del parto e la lontananza dalla propria famiglia, dall’altro un futuro incerto.
L’Ucraina si è rivelata essere una grande esportatrice non solo di materie prime, ma anche di bambini. Il business della maternità surrogata in Ucraina è uno dei più sviluppati al mondo, con una stima di circa 2500 bambini “su commissione” nati ogni anno. E come ogni business, anche questo “settore” sta avendo grosse difficoltà per colpa del conflitto tra Ucraina e Russia. Solo che a rimetterci, in questo caso, sono le donne e i neonati coinvolti in questa pratica.
La maternità surrogata in Ucraina
Il tema della maternità surrogata in Ucraina è da anni oggetto di diverse discussioni internazionali. Nel mondo sono davvero pochi gli stati che prevedono una regolamentazione per questa pratica, 18 per la precisione, e tra questi figurano proprio Ucraina e Russia. A questo è dovuto la proliferazione delle cliniche ucraine specializzate in essa, che stipulano dei veri e propri contratti tra donne del posto e genitori provenienti da paesi stranieri, impossibilitati ad avere un figlio tramite il cosiddetto utero in affitto nella propria nazione.
I vantaggi per i genitori intenzionali nel ricercare una maternità surrogata in Ucraina sono tanti. Primo tra tutti, il prezzo: il paese si è dimostrato uno dei più economici per questo tipo di servizio, con “pacchetti” che vanno dai 29mila ai 49mila euro. Considerando che alle gestanti ne spettano circa 10mila, questo business si è configurato come particolarmente proficuo per le varie cliniche. Se ne contano infatti circa una trentina private e cinque statali, che si occupano di gestire la gravidanza passo per passo. Le condizioni per richiedere la surrogazione legalmente sono precise: i genitori devono essere eterosessuali e sposati, con comprovate motivazioni mediche che giustifichino il ricorso ad essa.
Le difficoltà preesistenti delle madri surrogate ucraine
Julia Osiyevska è direttrice dell’agenzia di maternità surrogata New Hope di Kiyv. A proposito del lavoro delle ucraine in questo settore, ne parla come di “portatrici” che “sono pagate ma non stanno vendendo un bambino”. In cambio del servizio che offrono, possono procurarsi i soldi per i propri, di figli. Una situazione paradossale che evidenzia il contrasto tra povertà e ricchezza, presente ben prima della guerra. Tuttavia, il conflitto con la Russia ha acuito terribilmente le complicazioni e i pericoli che queste donne corrono.
“Le surrogate non sono ostaggi o schiave” ha dichiarato Osiyevska. I loro contratti, però, possono prevedere il trasferimento in strutture o paesi esteri in caso di necessità. Infatti, con la guerra alle porte, le cliniche di GPA avevano iniziato a trasferire le donne incinte in città potenzialmente più sicure, a organizzare viaggi verso l’estero per portare a termine la gravidanza, a contattare i genitori stranieri incitandoli a preparare i biglietti aerei per andare a prendere i propri figli. Molte delle future madri avevano acconsentito a separarsi dalla famiglia e dalla propria casa, pensando che sarebbe durato tutto fino al parto, o comunque per poco tempo. Poi la Russia ha attaccato.
La guerra e la maternità surrogata
Le cliniche di maternità surrogata non hanno potuto interrompere il proprio operato nemmeno sotto le bombe russe. Organizzate in bunker sotterranei, hanno portato avanti l’assistenza alle gestanti e ai neonati, trasferiti direttamente dagli ospedali e affidati alle cure di tate coraggiose fino a quando i piccoli non verranno consegnati ai genitori. Victoria racconta alla CNN di come ha portato il suo bambino di soli sette giorni fino al bunker della Biotexcom, una delle cliniche ucraine più famose, in zona Irpin, con i rumori e il tremore delle esplosioni a poca distanza. Nonostante il rischio, lei è poi potuta tornare dalla sua famiglia, ma ad altre questo privilegio non è concesso.
Donne in questa situazione si sono viste allontanare dalla famiglia, magari scappata all’estero; sono dovute rimanere sotto i bombardamenti, impossibilitate a mettersi al sicuro altrove se non nei bunker delle cliniche, e con loro le tate. Alcune gestanti hanno perso i contatti con la propria agenzia, cercando disperatamente di arrivare ai genitori intenzionali; altre ancora sono sparite, bloccate dai bombardamenti e tagliate fuori dalle comunicazioni. Anche andare all’estero si è rivelato complesso, non solo per una questione economica, ma soprattutto per questioni legali. Così il bambino, una volta nato, rischia di essere apolide, senza cittadinanza né genitori, lasciato in un limbo burocratico.
Il futuro incerto dei bambini
Se per le madri si configura la difficoltà nell’accedere a parto e cure mediche in sicurezza, il futuro dei bambini si prospetta ancora più buio e incerto. La pratica per il trasferimento dei neonati è quantomai rischiosa, con i genitori stranieri spaventati dal conflitto, impossibilitati a mettere piede in Ucraina. Il rischio è che i bambini rimangano ad aspettare, “immagazzinati” nei bunker in una situazione simile a quella dell’Hotel Venezia di Kiyv, che durante la pandemia nel 2020 aveva ospitato 51 neonati in attesa che le coppie potessero venire a prenderli. Inoltre, per quanto riguarda le gestanti uscite dall’Ucraina, la situazione si complica a livello legale, perché il riconoscimento dei diritti sui bambini dipende dalla legislazione del paese in cui le donne si trovano.
Molte sono le coppie che si mobilitate per ovviare a questi problemi, imbattendosi comunque in diversi ostacoli. Una coppia tedesca ha guidato dalla Germania all’Ucraina per incontrare il proprio figlio, trovandosi poi bloccata sul suolo ucraino. Un’altra ha potuto vedere i propri gemelli per la prima volta in Polonia, dopo la loro nascita prematura e la loro permanenza in una terapia intensiva “improvvisata” in un seminterrato. C’è anche chi approfitta meschinamente della situazione, come nel caso dei due cinesi che sono stati fermati al confine con la Romania e accusati di rapimento, perché senza certificato di nascita dei neonati portati con sé.
Guardando all’Italia, molte sono le coppie che si sono affidate alla maternità surrogata ucraina. Per poter far acquisire la cittadinanza italiana al bambino, i genitori avrebbero dovuto recarsi in Ucraina a prendere il neonato e tornare sul suolo italiano con i documenti necessari. A inizio marzo risultavano ben dieci coppie bloccate nell’Ambasciata italiana dopo essersi ricongiunte con i propri figli. I problemi con la documentazione erano stati superati nell’interesse del bambino, ma c’erano comunque stati ostacoli nel rimpatrio.
Sam Everingham, fondatore dell’organizzazione australiana Growing Families, ha stimato che circa 800 famiglie da tutto il mondo stanno aspettando di ricevere il proprio figlio da una maternità surrogata in Ucraina. Questo significa che ci sono potenzialmente 800 bambini che, dall’altro lato, aspettano di essere accolti dai propri genitori. Neonati che adesso sono sottoterra, cullati dalle braccia delle tate e tenuti in culle di plastica con il rumore delle esplosioni come ninnananna.