Basta parlare del “dramma dei padri separati”, cambiamo punto di vista nella vicenda di Elena e Diego, i gemelli uccisi dal padre nel leccese. Apologia della violenza: quando la narrazione è tossica.
Telegiornali e giornali hanno ampiamente coperto la notizia dei due gemelli, Elena e Diego, vittime del “dramma dei padri separati.” Mario Bressi, 45 anni, dopo aver inviato un messaggio di accuse a sua moglie ha ucciso i suoi figli, forse nel sonno, e si è poi tolto la vita. Da carnefice è diventato vittima, protagonista di un racconto mediatico che mescola i ruoli, una narrazione tossica che confonde l’amore con la violenza.
Gemelli uccisi dal padre: Elena e Diego
Sui siti d’informazione, nei giornali e in Tv abbiamo visto le foto di Mario Bressi insieme ai suoi figli, dal mare alla montagna, questo papà passava ogni suo momento libero con i due gemellini, nati dal matrimonio con Daniela Fumagalli. “Non li rivedrai mai più” ha scritto Mario a Daniela prima di strangolare Elena e Diego, vittime di una “Separazione difficile” si legge sui giornali. Lo stesso Mario, volato giù dal ponte della Vittoria a Cremeno, ci viene raccontato come l’ennesimo martire del “dramma dei padri separati.”
“Si stava separando dalla moglie”, è la frase rimbalza dalla televisione alla radio, passando dalla carta stampata al web, come a voler, in qualche modo, deresponsabilizzare Mario per aver tolto la vita ai suoi stessi figli. Cinque parole che hanno la forza di condannare Daniela, l’unica rimasta in vita, la vera carnefice di questa triste storia: colpevole di aver chiesto la separazione, colpevole di aver lasciato Mario, colpevole di aver posto fine a un matrimonio che non funzionava più.
Daniela, che dopo aver letto il messaggio su WhatsApp del suo ex marito ha ripetutamente telefonato all’uomo e ai loro due figli, che si è poi messa in macchina nella notte, macinando 100 chilometri in meno di un’ora per raggiungerli a Margno. Un viaggio di panico e paura terminato con le sue urla disumane davanti ai corpi senza vita di Elena e Diego. Il suo peggior incubo era improvvisamente diventato realtà.
Narrazione tossica
Gli addetti all’informazione hanno il dovere di utilizzare un linguaggio consapevole, eliminando tutto ciò che rischia di essere retorico e fuorviante o peggio ancora che possa, in qualche modo, giustificare il gesto che si sta raccontando.
La violenza non è mai amore, questo è un concetto che nel 2020 dovremmo avere tutti chiaro, eppure, anche quando ci ritroviamo davanti all’ennesima manifestazione della mascolinità tossica e di una cultura sessista cadiamo nel solito vecchio tranello. Raccontiamo la storia dal punto di vista dell’uomo abbandonato, bistrattato, detronizzato da una donna che ha la presunzione di prendersi un ruolo che non gli spetta, che lo umilia con la sua emancipazione, con il suo rifiuto.
L’importanza delle parole
Le parole hanno vitale importanza nella narrazione di simili fatti di cronaca, specie quando a dare in pasto al pubblico simili narrazioni sono importanti testate giornalistiche. Nel settembre 2019 il collettivo Non una di meno, in una lettera all’Ordine dei Giornalisti, denunciava la deriva apologetica del giornalismo italiano:
Riteniamo che il giornalismo italiano sia a tutti gli effetti complice della cultura della violenza sulle donne.
Come si legge nella lettera: “Gli assassini non vengono mai chiamati tali”, i giornali sono infatti accusati di empatizzare con i carnefici, di cercare loro delle attenuanti, andando spesso a scavare nella vita privata della vittima, che finisce con l’essere colpevolizzata del dramma che l’ha travolta.
Il mondo dell’informazione ha un ruolo essenziale nel contrastare la violenza maschile contro le donne che non può e non deve essere sottovalutato. La professoressa Elisa Giomi in un saggio dal titolo “La violenza sulle donne nei media italiani”, dibatte lungamente sul tema della narrazione mediatica della violenza di genere. La Giomi sottolinea come i media siano reticenti a colpevolizzare l’uomo nei casi di violenza.
Dramma dei padri separati
Per questo se è importante parlare di diritto alla paternità e del dramma dei padri separati, bisogna prestare attenzione a non confonderlo con fatti di cronaca come quello che ha visto la morte di Elena e Diego, uccisi dal loro padre a soli 12 anni.
La copertura mediatica dell’omicidio in Valasassina è l’ennesimo esempio di una narrazione maschilista, ancora influenzata dal privilegio dell’uomo bianco, per il quale è fin troppo facile trovare l’ennesima giustificazione. La vita spezzata di Elena e Diego vale molto di più di tutto questo, che non si dica che sono morti per troppo amore.
Le parole sono importanti, che non si parli allora dei dramma dei papà separati ma si parli piuttosto della volontà di vendetta, della dimostrazione di forza e potere di un uomo ferito nell’orgoglio. Smettiamola di inchinarsi alle logiche del patriarcato, che nella spasmodica ricerca di un’attenuante urla il suo dolore tacendo quello delle sue vittime, finendo per ucciderle ancora, ancora e ancora.
Emanuela Ceccarelli
Bellissimo questo articolo, che condivido in toto.
Peraltro penso che proprio attraverso questi gesti estremi si riveli la debolezza del maschio, del marito, del padre, incapace di accettare la realtà e trovare un modo per andare avanti restando vicino ai figli, crescendoli, amandoli, anche da separato. Altro che amore. Qui conta la vendetta.
Non riesco nemmeno a pensare a quella povera madre, a quelle sue creature innocenti, private della loro vita. Terribile.
Grazie per quanto hai scritto, forte e chiaro.
A rileggerti, un saluto,
Marina
Il privilegio dell’uomo bianco non c’entra, perché: arabi, neri e cinesi sono peggio.
Per il resto concordo al mille per cento, è infame come i media siano bonari con questi mostri selvaggi.
Spero non si debba assistere all’obbrobrio di una messa in comune, e se dovesse accadere, spero che i presenti trattino la bara del carnefice dei suoi figli, come fu trattata quella del carabiniere che aveva compiuto un atto simile. Presa a pugni e fischi.