Dover stare bene psicologicamente è tra le cose più tossiche della rete

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Tra le cose tossiche della rete, il fatto di dover stare bene psicologicamente.

Parliamoci chiaro, la gente non sta bene. Io la conosco. Ho molti amici tra la gente, e non stanno bene.
Parlare del fatto che non si sta bene in rete, non piace. Finché metti le foto della tua gamba spappolata, un braccio ingessato, la testa fracassata, è tutto ok. Ma se parli del fatto che – boh – non sei felice, che non sei per un ca**o felice, allora è meno bello.
Essendo i social network un luogo di autoesibizione, anche tossica, bisogna sempre dare la migliore immagine di sé. Mettere in discussione il paradigma della felicità, è infrangere una regola non scritta. Stare male, e stare male per motivi diversi dal passaggio da ortopedia, non è una cosa che piace.
È come mettersi i vestiti brutti per uscire la sera, non è bello. Ma non ci sono i vestiti belli. Specie nei gruppi chiusi dove domina una visione tossica dell’affermazione lavorativa, intrepida e imprenditoriale, il male oscuro viene visto come un chiaro sintomo di poveraccismo. Di disagio personale.
Come puoi stare male se viviamo nel migliore dei mondi possibili? Eppure proprio questo mondo migliore spinge a dovere stare meglio, spinge ad essere delusi se non ci si riesce, ad essere stanchi, ad avere continue ansie legate al denaro, al riconoscimento, alla produzione, all’ego.
I paradossi sono quelli legati ai segni che oggi, nel digitale, mostrano la sofferenza. I meme. I messaggi di positività. Quelli di chi cerca conforto nella propria generazione e nei valori (immaginari) della propria generazione. Quelli con le frasi e i proverbi cinici e carichi di rabbiosa autostima.
Se scorrete Facebook trovate a decine e decine questi meme che segnalano disturbi, paure, odio. E chi li condivide non se ne rende nemmeno conto. Sono segnali di profili di gente che sta male e lo esprime in qualche modo, come riesce.
Quando incontri dal vivo le persone e parli, dopo un po’ che parli e che vai in profondità scopri che spesso sotto c’è un malessere anche lì. Casini, difficoltà mai raccontate, angosce.
Tanti hanno un braccio rotto, una gamba spezzata dentro alla testa, che non possono fotografare e condividere in rete perché fa paura, perché non ha forma. Perché si pensa, a torto, che la colpa di quella frattura interna sia tutta nostra, e non un dolore sistemico, sociale.
Non che sia necessario o obbligatorio condividerlo in rete. Anzi. Però è importante sapere che il carnevale della felicità e della soddisfazione altrui che ci scorre sotto agli occhi sono tutte tossine che le persone generano. Anidride carbonica digitale fatta – questo può far sorridere – per stare meglio, per mostrare a noi stessi, prima di tutti gli altri, che stiamo alla grande, anche oggi.

Fabrizio Venerandi

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