Le scuole giapponesi offrono un corso a noi sconosciuto, quello di educazione morale (道徳, doutoku). Quell’area dell’educazione dei bambini che qui in Italia viene lasciata a carico della famiglia, in Giappone è controllata dal ministero dell’educazione.
L’introduzione dell’educazione morale nelle scuole giapponesi
Inizialmente l’educazione morale (allora shuushin) fu introdotta nel 1880 per volere dell’imperatore Meiji. Si trattava di un corso basato essenzialmente sulla dottrina confuciana, che sottolineava la centralità della figura dell’imperatore. Doveva insegnare ai bambini la pietà filiale e l’obbedienza verso i genitori e, di conseguenza, verso l’imperatore.
Quando gli americani arrivarono in Giappone e lo occuparono, videro in questo tipo di insegnamento una specie di lavaggio del cervello. Pensarono che fosse stata proprio l’educazione morale a plasmare quelle giovani menti, abituandole all’obbedienza indiscussa imposta dall’alto. Per questo decisero di sospenderne l’insegnamento nelle scuole.
Nonostante l’opposizione dell’Unione degli insegnanti (Nikkyoso), il governo reintrodusse l’educazione morale nelle scuole e, nel 2001, fece uscire Kokoro no Nooto (Diario del cuore), libro ufficiale del ministero dell’educazione.
Dopo un’iniziale feedback positivo, il programma perse di popolarità. Nonostante ciò, Abe Shinzo, ex primo ministro giapponese, decise di attuare una nuova riforma per apportarvi dei miglioramenti. Il ministero fece quindi uscire un nuovo libro di testo, Watashitachi no Doutoku (La nostra moralità).
Watashitachi no Doutoku (私たちの道徳)
Il programma del corso di educazione morale si divide in 4 parti:
- la relazione con sé stessi
- la relazione con gli altri
- la connessione con la natura
- le relazioni all’interno della società e della comunità locale.
Concretamente, gli insegnanti si occupano di educare i bambini alla convivenza con sé stessi e con gli altri. Si insegna loro a condurre una vita regolare, a prendersi cura di sé stessi, a comportarsi sempre nel modo corretto. Ma anche ad essere grati ai loro genitori, ad amare i propri amici ed insegnanti, a rispettare la natura e tutti gli esseri viventi. Infine, viene insegnato loro a mantenere le promesse, a rispettare le consegne, ad apprezzare il lavoro, a rendersi utili in casa e soprattutto nella comunità.
Perché insegnare educazione morale a scuola
Principalmente la decisione dell’ex primo ministro giapponese di introdurre l’insegnamento del doutoku prima alle elementari (2018) e poi alle medie (2019) sarebbe dovuta all’ijime.
In Giappone quello del bullismo è un problema incombente, che miete vittime annualmente. Un caso che ha ricevuto molta visibilità mediatica è stato il suicidio nel 2011 di un ragazzino di 13 della prefettura di Shiga, causato dal bullismo portato avanti da due compagni di scuola.
Per questo, la “materia speciale” dovrebbe occuparsi di insegnare agli alunni il valore della vita.
Il doutoku può essere la soluzione?
Libri come Watashitachi no Doutoku sono stati criticati per come insegnano la moralità ai bambini. L’argomentazione dei critici è che questi testi non guidino gli studenti a capire perché determinati comportamenti sono sbagliati, né a capire da sé cosa reputare giusto e cosa sbagliato. Sembrerebbe che si limitino ad affermare, in maniera alquanto dogmatica, cosa si può e non si può fare. Spesso verrebbero raccontate storie con una morale che presentano immediatamente chi è nel torto come il cattivo, senza lasciare spazio alla libera interpretazione.
Tuttavia, questi testi non sono stati resi obbligatori per gli insegnanti. Sono quindi loro che hanno un ruolo fondamentale nell’insegnamento della “materia speciale”. Di conseguenza sta a loro spiegare ai bambini che in realtà non è tutto bianco o nero, che determinati comportamenti sono accettabili in circostanze speciali.
Non sempre la cultura del ‘ganbare’ (がんばれ) è la risposta giusta.
Elisa Pinesich