Critica al double standard occidentale, senza rimanere indifferenti. Kiev, se europea, non è Baghdad.
Il pericolo del double standard. Per la maggior parte del mondo occidentale la guerra in Ucraina è iniziata nella mattinata del 24 Febbraio 2022, quando la Federazione Russa di Vladimir Putin è penetrata nel cuore europeo dello Stato di Kiev.
Guai a cercare di portare avanti un’analisi storica e geopolitica più strutturata e nel lungo periodo.
Guai a dire che il conflitto odierno ha origini più lontane, nell’Aprile del 2014, quando le ormai note città di Donetsk e Lugansk proclamarono la propria indipendenza dal territorio ucraino. Eppure anche i dati OSCE parlano di quasi 14mila morti in Donbass, negli ultimi sette anni.
Attenzione a chiedere perché c’è stato tanto silenzio nei confronti di queste aree e di queste persone.
Il rischio, meglio ancora l’inevitabile conseguenza, è quello di essere accusati di approvare e giustificare la guerra, di sostenere Putin, di non essere sensibili verso civili, bambini e profughi.
Siamo in un momento storico altamente delicato, dove sembra utile e necessario schierarsi a prescindere, evitando il ragionamento; come se poi alla risoluzione della guerra e alle sue terribili conseguenze servisse tutto questo.
Siamo precipitati nella cecità verso un palese double standard, doppio metodo di giudizio, mirante a provocare compartecipazione e dolore per alcuni fatti e disinteresse e disprezzo per altri.
Double standard e guerra in Ucraina
Ad avvalorare quanto scritto sopra alcuni esempi di double standard, sui quali potere riflettere.
Il primo interessa lo stupore e il senso di eccezionalità che parte dei giornalisti occidentali vivono nel parlare di quanto sta avvenendo in un territorio europeo, in una Kiev civilizzata, sottolineando come invece per altri Pesi una guerra possa rappresentare un fatto normale.
Sono così simili a noi. Ecco perché è così scioccante. La guerra non è più qualcosa che colpisce popoli poveri e lontani.
Altro esempio, correlato al primo, riguarda i territori da potere invadere. Alcuni si, altri no.
Del resto, se la colpa del precipitare del conflitto è di Putin, non si può certo attribuire a questi il concetto contemporaneo di occupazione territoriale, ampiamente utilizzato da USA, Gran Bretagna e Paesi europei nell’invadere l’Afghanistan , l’Iraq e in altre precedenti situazioni come quella in Bosnia (1994).
Che tipo di profugo sei?
Ma arriviamo alla questione dei profughi, tralasciando, per non appesantire troppo, la denuncia da parte di alcuni Paesi africani e di alcune associazioni umanitarie sul diverso trattamento ricevuto dalle persone di colore al confine con la Polonia.
E’ sacrosanto permettere ai civili l’evacuazione da un territorio in guerra, ma questo principio dovrebbe valere per tutti. Per gli ucraini del fronte occidentale e quelli del fronte orientale; per coloro che provengono dal continente africano e quelli dal Medio-Oriente. Senza alcuna distinzione.
Non bisogna però avere una memoria di ferro per ricordare l’urgenza del chiudere i porti e i morti nel Mar Mediterraneo.
Proprio in queste ore Matteo Salvini è volato in Polonia, per poi raggiungere il confine con l’Ucraina, al fine di aiutare i veri profughi che scappano dalla morte.
Insomma, una decisione collettiva e senza precedenti quella dell’Unione Europea di aprire le porte ai profughi ucraini; una decisione però diversa dal solito e che pertanto potrebbe sembrare essere stata presa sulla base del colore della pelle, della religione, del conflitto dal quale si proviene.
Un paradosso quello delle potenze europee che accolgono le vittime del conflitto con la Russia e respingono quelle create dalle proprie invasioni.
Questi non sono i profughi che eravamo soliti vedere. Queste persone sono europee, perciò noi, insieme a tutti gli altri paesi dell’Ue, siamo pronti ad accoglierli. Queste sono persone intelligenti, istruite. Non sono i profughi a cui siamo abituati, persone di cui non conosciamo l’identità, con un passato poco chiaro, che potrebbero anche essere terroristi
La tolleranza occidentale verso alcune forme di nazismo
Di esempi di double standard su cui riflettere ce ne sarebbero ancora tanti: l’esclusione degli atleti russi da diverse competizioni, l’imbarazzo nell’organizzare e promuovere corsi, fiere, mostre con l’intervento di artisti provenienti dalla Federazione, la censura di alcuni giornalisti reputati filo-putiniani. Misure mai prese nei confronti di altri Paesi invasori.
Su un ultimo punto vorrei però soffermarmi ancora, chiedendo se possa davvero esistere, dopo quanto vissuto dal nostro mondo, un tipo di nazismo da tollerare, da giustificare o, comunque, sul quale potere soprassedere.
E’ difatti storia sdoganata che a prendere parte alle proteste dell’Euromaidan (2013-2014) e al conflitto odierno, al fianco dell’Esercito ucraino, vi siano state e vi siano forze di estrema destra e neo-naziste: il battaglione di Azov, Pravy Sektor e il partito politico Svoboda.
Verso queste realtà la stessa stampa americana fino al 2019 parlava di un vera minaccia alla sovranità ucraina, di gruppi senza scrupoli a usare la violenza, di aggressori verso le minoranze.
Badiamo bene, nonostante queste dichiarazioni, nessuno è mai intervenuto nel tentativo di fermarli. Nessuno si è scandalizzato per quanto avvenuto ad Odessa, il 2 maggio 2014.
Ad ogni modo, oggi, le stesse testate utilizzano verso i medesimi gruppi toni meno forti e parole più pacate. Scrivono di gruppi sì nazionalisti, sì paramilitari, ma non certo di neo-nazisti, quasi scomparsi e poco sostenuti dal popolo.
Possiamo anche, da qualche giorno, tornare ad elogiare su Facebook l’operato di Azov e dei suoi combattenti, in quanto difensori della nazione.
E quindi?
Il double standard rappresenta qualcosa di pericoloso e mira a nascondere doppi fini ed interessi.
Un qualcosa di non necessario se ciò di cui raccontiamo è giusto, corretto e fondato, proprio come la pace.
Eliminare l’ipocrisia, che talvolta ci contraddistingue nel valutare le situazioni, potrebbe essere determinante nell’evitare future catastrofi.
Ora, almeno un pensiero possiamo rivolgerlo all’ipotesi che se ci fossimo interessati a tempo debito a quanto stava accadendo in Donbass, in quelle città che oggi nominiamo nel quotidiano, forse la guerra odierna sarebbe potuta essere evitata e molte vite, di civili, di bambini, con gli stessi volti che oggi dalle nostre case osserviamo, sarebbero state salvate.
Del resto, sul tavolo dei negoziati di queste settimane tra Russia e Ucraina, non ci sono le medesime discussioni risalenti ad otto anni fa?
Deborah Natale
Articolo equilibrato e pienamente condivisibile