La revisione della dottrina nucleare russa rappresenta l’ultimo di una lunga serie di avvertimenti nei confronti dell’Occidente. Mentre i dubbi rimangono sull’effettiva volontà di Mosca di concretizzare le minacce, gli esperti evidenziano i rischi connessi con il piegarsi alla retorica nucleare del Cremlino circa i progressi compiuti nel campo della non-proliferazione.
La revisione della dottrina nucleare: l’ultimo monito della Russia all’Occidente
La retorica nucleare è uno dei principali strumenti della politica estera di Mosca sin dai tempi dell’Unione Sovietica. L’inizio della guerra in Ucraina è coinciso con un crescente utilizzo di minacce di conflitto nucleare da parte di esponenti del Cremlino e dichiarazioni circa il vasto arsenale atomico della Russia.
L’ultimo avvertimento in tal senso è arrivato durante il Consiglio di Sicurezza della Federazione, tenutosi a Mosca il 25 settembre, durante il quale il Presidente Vladimir Putin ha dichiarato di voler revisionare la dottrina nucleare del paese. Le modifiche proposte dal Presidente, se approvate in via definitiva, non rappresentano cambiamenti significativi rispetto alla versione precedente del 2020, tuttavia espandono il numero di scenari in cui la Russia si riserva il diritto di ricorrere al proprio arsenale nucleare.
Come ha confermato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, la decisione è arrivata in risposta alla possibilità dei paesi occidentali di accogliere la richiesta di Kyiv di fornire armi a lungo raggio in grado di penetrare in profondità sul suolo russo. La novità più sostanziale introdotta da Putin riguarda lo scenario di un attacco contro Russia o Bielorussia che rappresenti una minaccia critica alla sovranità dei paesi, anche nel caso in cui si dovesse trattare di un attacco convenzionale e non nucleare.
Il Presidente russo ha inoltre indicato un’ulteriore situazione che finirebbe sotto il mandato della nuova dottrina nucleare, vale a dire un’aggressione contro la Russia da parte di uno stato non dotato di armamenti nucleari con il sostegno di un paese che ne possiede.
La retorica del Cremlino: più apparenza o sostanza?
L’utilizzo della retorica nucleare da parte del governo di Mosca non costituisce una novità. L’avvento al potere di Putin è infatti coinciso con un prepotente ritorno di intimidazioni circa le possibilità di un conflitto atomico. A partire dall’occupazione della Crimea nel 2014, tali minacce sono diventate uno strumento privilegiato del governo russo, e il leader del Cremlino più volte ha segnalato ai paesi NATO di esser pronto a utilizzare le armi nucleari in caso di interferenze in Ucraina.
L’invasione su larga scala del paese ha infine contribuito a fare del ricorso a minacce nucleari una vera e propria prassi dell’establishment russo. La facilità e frequenza con cui esso si avvale di questo tipo di dichiarazioni non significa però che sia realmente pronto a metterle in pratica.
Come è stato fatto notare, infatti, servono principalmente lo scopo di scoraggiare i paesi alleati di Kyiv a intervenire nel conflitto. Nel corso degli anni, Mosca ha tracciato numerose linee rosse il cui oltrepassamento avrebbe dovuto provocarne la reazione, che però non è mai arrivata. È il caso dei territori ucraini occupati, in teoria sotto le disposizioni della dottrina nucleare, contro cui il governo di Kyiv ha lanciato attacchi. Similmente, l’incursione dell’esercito ucraino nella regione russa di Kursk soddisfa i requisiti della dottrina, con Mosca che invece ha minimizzato ciò che a tutti gli effetti rappresenta la prima occupazione del proprio territorio dalla Seconda Guerra Mondiale.
In sostanza, la Russia ha di volta in volta delineato tante linee invalicabili senza però effettivamente impegnarsi nel rendere concrete le proprie minacce. L’annuncio dato durante il Consiglio di Sicurezza in merito agli aggiornamenti della dottrina nucleare può essere visto come un ulteriore tentativo di disincentivare il sostegno a Kyiv, consapevole dell’efficacia di un certo tipo di retorica soprattutto sui paesi a ovest del continente europeo.
Oltre a ciò, gli esperti concordano sul fatto che l’impiego di armi nucleari non porterebbe alcun beneficio alla Russia e ai suoi piani in Ucraina. La reazione della NATO non si farebbe attendere e il coinvolgimento in un conflitto con essa sarebbe incredibilmente costoso per la Russia.
Piegarsi agli ultimatum di Mosca è un rischio
Ciò che costituisce una fonte di preoccupazione tra gli osservatori non è tanto il fatto se Putin sia pronto o meno a scatenare un conflitto nucleare, quanto le conseguenze di sottostare a questo tipo di retorica nel lungo termine.
Come ha sottolineato Peter Dickinson, esperto di affari ucraini presso l’Atlantic Council, se la strategia del Cremlino di far leva sulla minaccia atomica dovesse aver successo e gli permettesse di conseguire i propri obiettivi in Ucraina, non vi sarebbero ragioni per ritenere che non possa ricorrere alla medesima strategia con altri stati. Inoltre, si verrebbe a creare un pericoloso precedente che trasformerebbe il ruolo delle armi nucleari sulla scena.
I regimi autocratici, ma non necessariamente solo loro, prenderebbero nota dei metodi di Mosca per raggiungere i propri obiettivi di politica estera. Oltre a questo, la mancanza di una reazione decisa da parte delle potenze occidentali nei confronti della retorica nucleare di Putin porterebbe alla convinzione che lo sviluppo e il possesso di armamenti nucleari sia l’unica garanzia per la sicurezza di un paese, con il rischio concreto che, nel giro di alcuni anni, altre nazioni inizieranno a produrne, annullando in tal modo decenni di progressi nel campo della non-proliferazione nucleare, aumentando di fatto il rischio di un conflitto atomico.