Dottor Manga: il medico italiano che usa l’anime therapy per aiutare gli Hikikomori in Giappone

Quando la passione personale diventa uno strumento di cambiamento e guarigione

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Francesco Pantò, 34 anni, originario della provincia di Messina, è il primo (e ancora l’unico) medico italiano ad avere la licenza per esercitare in Giappone, dove è conosciuto anche come Dottor Manga. È uno psichiatra che utilizza il potere catartico delle storie per aiutare i suoi pazienti.

Il Dottor Manga e gli hikikomori

Dopo la laurea in medicina e lo studio della lingua da autodidatta, Francesco Pantò ha proseguito gli studi in Giappone grazie a una borsa di studio. Appassionato sin da bambino di manga e anime, ha deciso di incorporarli nella sua pratica clinica.

Anche se il potere curativo del teatro e della letteratura è conosciuto da tempo e accettato come strumento da parte della comunità clinica, gli anime e i manga subiscono ancora il pregiudizio di essere considerati prodotti di serie B. Nel migliore dei casi semplice intrattenimento per ragazzi; nel peggiore, responsabili dell’aumento della violenza e dell’auto-reclusione sociale, come nel caso degli hikikomori.

Gli hikikomori sono persone che scelgono di ritirarsi dalla vita sociale, spesso anche dalla loro stessa famiglia, e di vivere reclusi nelle proprie camere, nel proprio mondo dove spesso gli unici ammessi sono i personaggi delle storie che tengono loro compagnia. Il fenomeno è stato studiato per la prima volta in Giappone ma si è ormai esteso a tutto il mondo occidentale. Il tema è spesso presente in manga e anime dove il ruolo del protagonista-eroe viene assegnato a persone con caratteristiche hikikomori.

Pantò conosce bene gli hikikomori, non solo perché ha studiato con l’uomo che con i suoi studi ne ha reso popolare il termine: lo psichiatra Tamaki Saitō; ma anche perché ha provato sulla sua pelle quel bisogno di ritirarsi dal mondo e di stare da solo, anche a causa del bullismo subito a scuola. Immedesimarsi nei protagonisti dei cartoni e dei fumetti l’ha aiutato a conoscersi, capirsi e trovare la sua strada e adesso utilizza gli stessi strumenti per aiutare il prossimo.

Anime Therapy

Lo psichiatra italiano ha trovato un metodo per entrare in comunicazione con queste persone attraverso il loro linguaggio, che d’altronde è anche il suo: quello delle storie. Ha provato sulla sua pelle il loro effetto salvifico e ora le usa per aiutare chi sembra rifiutare ogni contatto con l’altro.

Manga, anime e videogiochi non sono visti come la causa del ritiro sociale, ma uno strumento per entrare in contatto, uno spazio comune in cui dialogare e arrivare alla comprensione: «è la dose che fa il veleno» dice Pantò.



Il suo modo di fare terapia si articola in due fasi: si parte dalla storia, così da dar modo ai pazienti di immedesimarsi e comprendere di più di se stessi, poi attraverso un videogioco la terapia si sposta nella realtà virtuale. Una seduta psichiatrica vera e propria, ma “mascherata” da gioco così da rendere più facile ai pazienti parlare di sé e aprirsi attraverso strumenti che fanno parte della loro quotidianità.

Invece che forzare la persona fuori dal suo mondo, si prova a entrarci. Al posto di demonizzare le passioni degli hikikomori, l’anime therapy le rispetta e le valorizza, facendoli sentire compresi e creando uno spazio sicuro entro il quale può svolgersi l’intervento d’aiuto.

Il Dottor Pantò ha illustrato il suo metodo in un saggio edito in Giappone: Anime ryoho (Kobunsha, 2022). Ha deciso di scriverlo in Giapponese per non peccare dell’arroganza di chi crede di poter fare l’esperto senza partire dalle basi. Vuole proporre il suo metodo ai giapponesi parlando direttamente con loro, senza mediazioni.

L’anime Therapy potrebbe essere importante anche per la prevenzione della sofferenza mentale, non solo per la sua cura. Per questo il Dottor Manga vuole farsi ponte tra l’industria dell’intrattenimento e la medicina scientifica. Pensare ai prodotti di intrattenimento come potenziali strumenti terapeutici apre alla possibilità di nuovi generi narrativi. Lui stesso è impegnato in prima persona nella stesura di una storia e crede che l’interessamento dell’industria dell’intrattenimento sia fondamentale per arrivare a più persone possibili.

L’anime Therapy è un rovesciamento rispetto alla concezione comune che vede in manga e anime i colpevoli per la fuga dalla realtà dei giovani. Una fuga infantile e irresponsabile dall’unico mondo possibile, quello reale. Questo porta gli hikokomori a dover sopportare una doppia sofferenza: quella interiore e personale e quella che viene dal pregiudizio e dallo stigma verso i loro interessi, gli unici a offrire conforto da un mondo che non piace e che spaventa.

Con l’anime therapy Francesco Pantò restituisce dignità alle passioni dei giovani e le sfrutta per aiutarli e ispirarli. Così come i manga e gli anime hanno aiutato e ispirato lui, tanti anni fa, ad arrivare dove è ora, dove ha sempre voluto essere. Così come le storie hanno aiutato tutti noi almeno una volta, anche quando (forse) non ce ne siamo accorti.

Sara Pierri

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