Dostoevskij: equivoci e chiarimenti sul concetto di bontà

Dostoevskij

Il principe Myskin, protagonista del romanzo L’idiota dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij, è – a detta dello stesso autore – un uomo assolutamente buono. Nulla di meno, nulla di più. Ma anche nulla di più difficile da rappresentare perché estremamente complicato da pensare, contestualizzare, realizzare. Tra i tanti spunti forniti da quest’opera, è centrale un interrogativo di fondo. Cosa significa essere assolutamente buoni? Quanto effettivamente si può tirare allo stremo il concetto di bontà, affinché quest’ultimo non si trasformi in altro?

Il principe Myskin, protagonista de L’idiota di Dostoevskij, è un uomo assolutamente buono. Almeno, in una simile espressione, sono racchiuse le intenzioni dell’autore del romanzo nel delinearlo. Ventiseienne, tra gli ultimi discendenti dell’antica casata russa dei principi Myskin, soffre di epilessia. Motivo per cui intraprende un soggiorno di cura in Svizzera, che sembra – almeno in prima battuta – averlo liberato dall’ambiguo disturbo. Ecco, allora, che Myskin – tra le altre cose ereditiere di una considerevole somma di denaro – ritorna in Russia.

Arrivato a San Pietroburgo con un umile fagotto contenente tutti i suoi averi, si reca a casa del generale Epančin. Qui, avrebbe incontrato Lizavéta Prokóf’evna, moglie del generale e sua lontana parente – forse, l’ultima rimasta – e le figlie della coppia: Aleksandra, Adelaida e Aglaja. Ancor prima dell’arrivo in Russia, in treno, Myskin aveva già conosciuto anche l’esuberante Rogozin e il morbosamente curioso Lébedev. Non molto tempo dopo – i primi sedici capitoli de L’idiota si svolgono in una sola giornata – Myskin si relazionerà con buona parte delle figure che comporranno la nebulosa del romanzo. L’enigmatica Nastas’ja Filippovna – figura centralissima – il generale Ívolguin con la moglie Nína e i figli dei due Ganja, Varja e Kolja. Questi e altri personaggi – tra nichilisti, arrivisti, rivoluzionari – compongono la cornice in cui, in medias res, il principe Myskin approda.

UN UOMO ASSOLUTAMENTE BUONO: LA SCOMMESSA DI DOSTOEVSKIJ

Una cornice già costituita, una società già strutturata in cui la vita procede seguendo le proprie ordinarie logiche. Uno squarcio di mondo – questo – in cui il principe arriva da straniero, in quanto stra-ordinario, totalmente alieno alle dinamiche che lo reggono. Avulso da tutto proprio perché assolutamente buono e portatore, per questo, di una controcultura che attraversa questo ambiente già definito, nel quale si trova gettato. A cosa porta questo intervento straniante che risiede non tanto in questa o in quella azione del principe ma, piuttosto, nel suo integrale esserci? Nella sua estrema, incrollabile, indefettibile apertura nei confronti dell’altro?

È in questo quadro che emerge, dirompente, uno dei tanti interrogativi che squaderna l’opera di Dostoevskij. Cosa significa essere assolutamente buoni? Quanto effettivamente si può tirare allo stremo il concetto di bontà, affinché quest’ultimo non si trasformi in altro?

IDENTITÀ E ALTERITÀ

Abitare le regioni dell’umano significa, inevitabilmente, inscriversi in un orizzonte in cui «la legge dell’autodistruzione e la legge dell’autoconservazione sono ugualmente forti». La vita procede come deve procedere. È, fin troppo spesso, dura, schietta, cruda, impassibile e, al contempo, profonda, autentica, significativa, stimolante. Le singole vicende di chi ne è parte oscillano tra meravigliosi spunti esistenziali e tetri vicoli ciechi con fiochi margini d’espansione. Tra resistenza e resa, dinamismo e staticità, orizzonti accesi e prospettive offese, gli uomini ne ripetono i cicli. Da individui e membri della comunità umana. L’esistenza è essenzialmente identità e alterità. Ed è nell’abitare quest’intercapedine che gli uomini si definiscono.

In quella scala di grigi che è l’ambiente già costituito in cui il principe Myskin piomba in medias res, accade qualcosa. Si apre una fenditura, una breccia, un canale. Il limitato impianto prospettico – imperniato principalmente su forza-denaro, posizioni sociali e impetuose passioni – vacilla. La trama dei rapporti sociali subisce delle, seppur improvvise e momentanee, variazioni. Arriva il principe – questo uomo assolutamente buono – che, come evidenzia lo scrittore Paolo Nori nel testo Sanguina ancora, «parla con tutti alla stessa maniera, come se tutti fossero importanti alla stessa maniera, e con il quale parlano tutti, senza nessuna soggezione, come se parlassero tra sé e sé».

Accade, più o meno, ciò che il filosofo e critico letterario Michail Bachtin delinea con il termine-concetto carnevale. Continua il già citato Paolo Nori:

Michail Bachtin, il grande studioso di Dostoevskij, dice che anticamente, per carnevale, per un giorno solo, si ribaltavano tutte le gerarchie: il povero diventava ricco, il ricco diventava povero, il re diventava un mendicante, un mendicante diventava il re. Nelle opere di Dostoevskij, questo fenomeno, il ribaltamento delle gerarchie, avviene non solo per carnevale, ma continuamente, come nel caso di Nastas’ja Filippovna e dei generali Ivolgin e Epančin, che sono, nella gerarchia del romanzo di Dostoevskij, nella scala Mercalli dell’Idiota, di una potenza di gran lunga inferiore, rispetto a quella di Nastas’ja Filippovna.

L’INTERVENTO DELLO STRANIERO: NICHILISMO E ANTINICHILISMO

È l’intervento del totalmente altro di cui è portatore Myskin: di visioni del mondo alternative, di sintesi esistenziali che si discostano dal pre-costituito. In una temperie – la società russa coeva a Dostoevskij, ma la questione si ripropone attualissima anche oggi – in cui vivere natura e società senza scrupoli è un fatto non solo normalizzato ma, addirittura, giustificato. Se è la guerra di contro tutti – senza esclusioni di colpi – a reggere le sorti degli uomini, la vita si fa una lotta meramente orizzontale. Dove non c’è spazio, o ne rimane davvero poco, per un confronto con valori di ordine superiore, che soverchiano la mera dimensione individuale. Ma che, al contempo, all’individuo ritornano, irrorandolo di una diversa pienezza, ben più estesa. Scrive sulla questione il critico letterario Vittorio Strada:

L’antinichilismo di Dostoevskij riposa sulla scoperta che il nichilismo scatena queste forze autodistruttive senza sospettarne l’esistenza e credendole forze autoconservative, con la conseguenza che il rapporto di dominio assume così forme mostruose, non essendo equilibrato né da una chiara coscienza della realtà, né da un affermativo sentimento d’amore.

Myskin guarda all’intero che ricomprende i singoli frammenti, si volge all’eterno e non solo ed esclusivamente al futuro. E, sulla scorta di questa vocazione prospettica, sconquassa l’ordinarietà dei suoi interlocutori e i luoghi comuni della società che attraversa. Sembrerebbe, fino a questo punto, che il principe sia una figura così propositiva e salvifica da configurarsi quasi come un eroe della modernità.

IL PRINCIPE MYSKIN: UN PO’ SANTO, UN PO’ IDIOTA

Nulla di simile accade: Myskin, nel suo esserci, va continuamente incontro a scacchi. È, spesso, definito idiota non solo ed esclusivamente a causa della sua malattia, ma in ragione della sua inabilità a stare al mondo. La sua costante e indiscriminata disponibilità nei confronti dell’altro viene letta, dalla società circostante, come inettitudine, ingenuità. Eppure, per le più svariate questioni – anche le più complicate, intricate, gravose – più o meno tutti ricercano Myskin come banco di prova. Se fosse solo un idiota, va da sé, quale interesse dovrebbe suscitare un confronto con la sua persona?

Ecco il punto della questione. L’essere assolutamente buono di Myskin si configura come un orizzonte a cui tendere, a cui l’uomo è precluso accedere in senso assoluto. Pena, l’incorrere in un destino come quello del principe: esporsi al pericolo del raggiro, della cupidigia, dell’egoismo e, paradossalmente, divenirne complici.




IL CONCETTO-REALTÀ DI BONTÀ: EQUIVOCI E CHIARIMENTI

Questo accade tirando allo stremo il concetto-realtà di bontà assoluta se contestualizzato in un ambiente in cui bontà, comprensione, empatia, apertura non pagano. Allora, il tentativo di giustificare ad oltranza di tutto ciò che si incontra diventa uno specchio lucido, che riflette e amplifica l’azione altrui. Se quest’ultima è ispirata a valori di ordine superiore che ricomprendono la dignità dell’altro, risulta possibile tessere un circolo – e ricircolo – di bontà. Se pensieri e azioni altrui sono improntati sul più sfrenato e becero individualismo – che dell’altro tiene conto solo in ragione dei propri scopi – anche la bontà diventa motivo di realizzazione di istanze diametralmente opposte ai nobili intenti originari. In altri termini, l’assoluta bontà che si declina nella costante, incrollabile e indiscriminata comprensione dell’altro, si fa complice dei valori ai quali – in linea di principio – si oppone.

Ecco allora che, molto più superficialmente, la società dipinge il principe come un idiota. Non tanto per chissà quale giro teorico, ma semplicemente perché un atteggiamento simile, nella vita, non paga. Ma, al contempo, lo cerca. Chi più, chi meno, chi – straniero come lui – lo comprende più a fondo.

DOSTOEVSKIJ: UNO SPIRAGLIO SULL’ALTERITÀ

Dostoevskij, insomma, tenta costantemente di squadernare uno spiraglio sull’alterità. Myskin funge da contrasto all’ordinario incedere nel mondo, facendosi immagine tangibile di una realtà umanamente irrealizzabile. Tangibile perché Myskin, in effetti, così lo è: un uomo assolutamente buono. Irrealizzabile perché potrebbe esserlo pienamente solo ed esclusivamente se l’ambiente con cui entra in relazione abitasse il suo stesso spirito. Ma l’umano segue altre logiche e il principe diventa un po’ santo, un po’ idiota. E dall’ambiente in cui si è ritrovato, uscirà allo stesso modo in cui è entrato: in punta di piedi, nel pieno svolgersi del reale. Mentre tutti gli altri, come evidenzia ancora Vittorio Strada:

[…] sono gli abitatori del mondo, i cittadini del tempo, non toccati dalla dimensione dell’eterno e alla fine, nell’epilogo, passata la grande bufera, li ritroveremo, poveri e grigi, ma degni di continuare a trascinare la loro comune esistenza.

Uno straniero che entra ed esce in medias res, nel pieno del caotico tumulto di un mondo che potrà continuare a perseverare nel suo stato o, sulla base dell’incontro con il principe, declinarsi in maniera diversa. Certo è che il mondo, dal suo arrivo, non sarà mai esattamente lo stesso di prima.

Mattia Spanò

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