Di Andrea Umbrello
È trascorso un anno dal lancio del libero commercio continentale africano. Molte le problematiche ancora da affrontare, ma il progetto resta comunque una grande opportunità per esortare una crescita sostenibile e inclusiva nel continente.
Un anno fa, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, indossando il cappello da presidente dell’Unione africana (UA), ha convocato un vertice speciale dell’UA per presentare al mondo il lancio dell’African Continental Free Trade Area (AfCFTA), un accordo commerciale con negoziazioni ancora in corso che, sulla base di ben 54 stati firmatari, costituisce la più grande area di libero scambio al mondo.
Forse è il caso di ribadire la portata e l’importanza dell’accordo: l’intero continente africano, ad esclusione dell’Etiopia, ha deciso di sedersi allo stesso tavolo condividendo delle direttive che influenzeranno drasticamente il piano economico di ogni singolo paese.
Liberalizzare il 97% del commercio intra-africano, un obiettivo a dir poco ambizioso per un continente lacerato da problematiche sociali, ricco di risorse con valore di mercato immensamente superiore a quello del prodotto interno lordo che, va aggiunto, di rado hanno implicato la popolazione locale nei ricavi generati.
Infatti, difficilmente l’Africa registrerà un aumento del reddito di 450 miliardi di dollari entro il 2035, come pronosticato dalla Banca Mondiale, se i prodotti commerciali continueranno ad attraversare i confini dei paesi del continente mediante il pagamento di dazi e quote escluse dai termini dell’accordo.
Improbabile che il libero scambio riuscirà a sollevare 30 milioni di africani dalla povertà estrema, come annunciato sempre dalla Banca Mondiale, se le notevoli tensioni tra la visione del libero mercato dell’AfCFTA e le priorità di sviluppo economico nazionale dei paesi partecipanti non convergeranno in un’unica grande aspirazione.
Inverosimile riuscire a creare migliori opportunità per le donne e i lavoratori non qualificati attraverso un aumento dei salari di oltre il 10% entro i prossimi 15 anni se l’ ambizione politica di far funzionare l’AfCFTA il prima possibile porterà i negoziatori a intraprendere scorciatoie che invalideranno l’intero processo tecnico di transazione.
Quello che può essere definito come uno dei più grandi progetti economici mai avvallati in Africa, resta comunque una grande opportunità per esortare una crescita sostenibile e inclusiva nel continente. È per questo motivo che, nonostante le numerose difficoltà rese ancora più critiche dalla diffusione della crisi sanitaria del virus Covid-19, l’implementazione di innovative misure di sostegno e l’accelerazione di finanziamenti delle infrastrutture che possano facilitare i collegamenti rurali rappresentano esempi che alcune realtà del continente stanno cercando di sfruttare.
All’interno di questo processo continuano ad essere due gli ostacoli più grandi da dover affrontare: la gestione dell’aspetto burocratico di ogni singola frontiera e le condizioni delle strade che rendono difficile la loro percorrenza. È dalla necessità di risolvere queste problematiche che sono nati impulsi per la creazione di nuovi strumenti che riguardano il settore tecnologico, logistico e infrastrutturale.
Queste spinte hanno stimolato la creazione di start-up come Amitruck, una porta d’accesso al mercato africano, una piattaforma digitale che collega i trasportatori direttamente con i proprietari di merci tramite la sua applicazione web o mobile, evitando intermediari. Una novità nella logistica africana che ha visto l’aumento dei ricavi del 300% negli ultimi mesi grazie ad una ricca offerta che prevede l’assicurazione delle merci, il monitoraggio dei conducenti e mezzi sostitutivi in caso di anomalie meccaniche che potrebbero generare ritardi nelle consegne.
Un altro esempio è rappresentato dall’espansione del principale porto del Ghana attraverso un investimento da 1,5 miliardi di dollari. L’iniziativa, secondo uno studio del Quantifying Business Impact on Society, potrebbe aumentare le esportazioni del più grande produttore di oro dell’Africa e del secondo produttore di cacao al mondo fino al 17% in 5-10 anni.
L’ennesima dimostrazione della volontà di voler superare i limiti delle attuali infrastrutture fisiche, è la recente inaugurazione di un ponte stradale e ferroviario che collega Botswana e Zambia, riducendo la congestione ai valichi di frontiera e stimolando il commercio.
Quelli appena riportati, sono tutti esempi che propongono la ferma volontà, da parte delle istituzioni africane, di intraprendere un percorso di miglioramento e innovazione. Un gigantesco flusso finanziario segna trattative, negoziazioni e orientamenti che mirano a trasformare l’Africa in una terra capace di ospitare sinergie economiche di rilievo mondiale, ma tutti questi processi continueranno a registrare la loro inefficacia se non cominceranno a coinvolgere altri settori sociali per un miglioramento dei mezzi di sicurezza e sussistenza per la maggior parte degli africani.
Non possiamo parlare di mutazione e futuro se alla costruzione di un ponte contrapponiamo la notizia dello scorso week end in Mali, dove uomini armati non identificati hanno ucciso l’autista di un autobus, tagliato le gomme e successivamente dato fuoco al mezzo con all’interno 31 persone. La maggior parte delle vittime erano donne che dal vicino villaggio di Songo, si recavano al mercato di Bandiagara per cercare di mettere in tasca qualche moneta.
Non possiamo dedicarci all’analisi di prospettive economiche derivanti dall’implementazione di un porto commerciale quando nella giornata di lunedì scorso leggiamo di 21 persone, tra cui molti bambini, morti bruciati vivi poiché l’autobus su cui viaggiavano è stato oggetto di un’imboscata tesa da uomini armati nello stato di Sokoto, in Nigeria.
La sensazione è che se la gestione degli investimenti monetari continuerà ad essere caratterizzata da incertezze sociali di tale portata, difficilmente gli accordi sul commercio intra-africano daranno i frutti sperati.
Fino a quando non smetteremo di raccontare l’Africa attraverso uno specchio di sangue, violenza e sfruttamento, ogni autocarro e nave del continente continueranno ad avanzare troppo lentamente verso un futuro di uomini e donne liberi.