Donne tifose: quando il calcio parla al femminile

Sera d’estate. Afa incessante. Birra ghiacciata. Posto fisso sul divano. Comincia la partita di calcio. Dall’altra parte del televisore però non ci sono branchi di uomini sudati e urlanti, ma nutriti gruppi di donne, che riescono ad agitarsi quasi allo stesso modo.

Una scena che si ripete frequentemente negli ultimi tempi e non solo a causa del sentimento nazional-patriottico messo in moto dagli Europei di calcio che si stanno svolgendo in questi giorni in Francia. Tendendo bene l’orecchio si sentono commenti tecnici, qualcuno ancora timido e appena abbozzato, qualche altro intenso e fortemente convinto.

Lo sport più bello del mondo conta sempre più seguaci femminili, vere e proprie appassionate capaci di trasferte all’ultimo minuto e discussioni animate da allenatore mancato che farebbero impallidire anche il capo ultras più accanito.

Le statistiche dicono che le italiane sono le tifose più assidue: il 34% delle nostre connazionali afferma di amare il calcio e di seguire con regolarità tutte le principali competizioni calcistiche; a loro si aggiunge un altro 25%, che sostiene di tifare sporadicamente, ma di essere attento in particolar modo ai tornei internazionali, mentre il 22% guarda le partite solo quando si trova in compagnia di amici, parenti e, ovviamente, fidanzati, mariti e compagni vari.  Percentuali di tutto rispetto che tingono fortemente di rosa un mondo tradizionalmente riservato al sesso maschile.

Sembra addirittura che negli ultimi anni sia in atto una notevole inversione di tendenza, per la quale sono sempre di più le coppie in cui è la donna ad essere la vera tifosa, mentre l’uomo tende a disinteressarsi. Nel 2016, forse, sarebbe Rita Pavone a lasciare da solo il suo Lui tutte le Domeniche “per andare a vedere la partita di pallone”, a spiegare il fuorigioco alle amiche con i bicchieri sul tavolo di un pub o a preferire 90 minuti di “uomini in mutande che rincorrono una sfera di cuoio” ad un pomeriggio di shopping in un affollato centro commerciale.

Non solo giornaliste sportive o vallette bellissime posizionate nei programmi di approfondimento calcistico per la gioia degli occhi di ringalluzziti maschi, non solo calciatrici che praticano questo sport da anni, ma donne “normali” che incontri quotidianamente per strada, che corrono a casa per non perdersi il fischio d’inizio, che in camera collezionano i fascicoli speciali de “La Gazzetta” accanto agli smalti, che imprecano contro l’arbitro sbattendo a terra il tacco a spillo.

Noi donne abbiamo capito che il calcio fa per noi. Schemi, strategie, tecniche di attacco e difesa. Ripartenze veloci e contropiedi che non ti aspetti. La versatilità dei ruoli, il tocco morbido, il cambio di gioco. Come potremmo non comprendere che si vince anche con i piedi storti e con una squadra improvvisata, noi che cerchiamo di sopravvivere con dignità alla cellulite e alle occhiaie? Come potremmo non capire quando e quali giocatori sostituire, noi che facciamo del cambio di stagione una giornata nazionale? E poi volete mettere il fiuto che abbiamo per i veri bomber? Li riconosciamo da lontano e siamo capaci di evitare solo quelli a rendimento alterno, che portano scompiglio nello spogliatoio senza fondamentali contributi. Per non parlare della marcatura a uomo e del possesso palla, su cui potremmo tenere dei veri e propri seminari. Dunque, caro Sinisa Mihajlovic, non venirci ancora a dire che le donne non capiscono di calcio, perché il tiki-taka per farci inseguire e stancarvi lo abbiamo inventato noi.

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