Chiunque abbia sfogliato un volume di letteratura, di filosofia, di storia dell’arte, saprà che lo spazio dedicato alla produzione delle donne è praticamente assente nei secoli più lontani, più consistente in quelli più recenti; per dare un volto al pensiero femminile dell’antichità, è utile analizzare tre figure chiave: la prima è la poetessa greca Saffo
Saffo è la prima delle donne intellettuali che, nel passato, è riuscita a conquistare questa posizione. La più antica che si riesca a ricordare. Infatti, già nell’antichità acquista fama per la bellezza dei suoi componimenti. Nata da una famiglia aristocratica. Fu direttrice e insegnante in un tiaso, una specie di collegio per giovani ragazze dove si impartivano i valori che la buona società prescriveva per loro: l’amore, la delicatezza, la capacità di sedurre, l’abilità nel canto. Sono nate molte leggende circa i rapporti amorosi ed erotici che Saffo intratteneva con le sue allieve, visti come degli amori omosessuali, che però devono essere contestualizzati nei valori dell’età, erano infatti una sorta di iniziazione alla futura vita matrimoniale delle giovani.
Ma ciò che più sconvolge di Saffo, è che sia una donna a influenzare il modo di pensare e, quindi, di scrivere, di uomini di epoche posteriori: pensiamo a quella che è conosciuta come Ode della gelosia, dedicata a una delle sue allieve, o meglio alla reazione di Saffo alla sua visione . A me pare uguale agli dei, afferma la poetessa, tant’è che qui abbiamo il primo esempio della cosiddetta sintomatologia d’amore, tutte quelle sensazioni che sconvolgono l’innamorato alla vista del suo oggetto d’amore: sudorazione, tachicardia, secchezza delle fauci. Da chi verrà ripreso tutto ciò? Prima da Catullo, poeta latino di età repubblicana e poi proprio da Dante e Petrarca, nel descrivere le pene che Amore infligge all’innamorato.
Alcune fonti sostengono che la poetessa fosse di bell’aspetto, altre invece che non fosse dotata di una bellezza particolarmente ammirabile, tant’è che la delusione per l’amore non corrisposto da Faone, un pescatore mitologico, l’avrebbe portata al suicidio. Quest’ultima versione è stata accolta da Leopardi, grande filologo classico oltre che poeta, che nell’Ultimo canto di Saffo , empatizza con l’antica poetessa per via di questa sorte cattiva, spregevole che li ha creati di brutto aspetto, condannandoli a una vita infelice.
Anche la “virile” letteratura latina ha un suo membro tra le donne intellettuali nel passato: Sulpicia, poetessa di età augustea
L’identità di Sulpicia è avvolta nel mistero, ma ci sono abbastanza prove per ritenere che sia l’unica poetessa romana della quale siano stati tramandati dei componimenti.
Figlia dell’oratore Servio Sulpicio Rufo, anche lei proviene da una famiglia aristocratica, e ciò la accomuna a Saffo: è quasi certo quindi che è questa condizione fortunata a permettere alle donne di emergere nella storia della letteratura.
I sei componimenti di cui è ritenuta autrice, sono stati tramandati all’interno di una raccolta delle poesie di Tibullo, poeta a lei contemporaneo. La poetessa parla in modo molto esplicito di un amore non platonico per un certo Cerinthus, del fatto che non provava vergogna e non voleva nasconderlo. Per questo motivo, si è discusso a lungo circa la paternità di questi componimenti, che inizialmente si attribuivano a Tibullo stesso, attraverso dei pretesti per non attribuirli a una donna e ignorando i segnali che portavano a questa ipotesi. Si è pensato addirittura che Tibullo abbia scritto questi componimenti per un suo amore omosessuale, o che si sia nascosto dietro il nome di una donna per “non ammettere la sua vena poetica femminile e delicata”.
Si è pensato qualsiasi cosa per non attribuire questi componimenti a una donna e, nel momento in cui le è stata riconosciuta la paternità, i critici hanno affermato che le poesie fossero di scarso valore. Solo recentemente si è riconosciuto il valore di queste poesie, sicuramente modeste, ma in precedenza viste come la tipica espressione letteraria di una donna, ovvero necessariamente ingenua e spontanea.
Più tardi, una donna dimostra che non serve appartenere a una famiglia nobile per emergere dalla storia: è Caterina da Siena
Caterina da Siena, vissuta nel ‘300, proviene invece da un’umile e numerosa famiglia, ventiquattresima di venticinque figli. Dopo aver preso i voti, chiede a una sua consorella di insegnarle a leggere e a scrivere, poiché non era istruita. È così che potrà lasciarci un ricchissimo epistolario, comprendente ben 381 lettere, molte delle quali indirizzate a personaggi molto importanti dell’epoca, tra cui papa Gregorio XI. Nelle lettere affronta i problemi non solo della vita religiosa, ma anche politica e sociale e ciò le varrà l’accusa di eccessivo protagonismo per una donna, per altro di bassa estrazione e incolta.
Ci lascia anche delle orazioni, preghiere pronunciate durante le sue esperienze di estasi – infatti Caterina era anche una mistica – messe per iscritto dai suoi discepoli. Ed è ancora grazie ai suoi discepoli che abbiamo il Dialogo della Divina Provvidenza, considerato uno dei capolavori della letteratura medievale.
Per questo può essere sicuramente annoverata tra le donne intellettuali del passato, dato che l’intellettuale è colui che mette al servizio della comunità la propria visione del mondo, fornendo una chiave di interpretazione dei fenomeni che ci circondano.
Queste tre donne ci hanno dimostrato come sia possibile far sentire la propria voce senza rinnegare il genere di appartenenza e i connotati che nel passato venivano associati a questo, ma superandolo e mostrando il proprio valore assoluto, cioè indipendente dal genere.
Francesca Santoro