La situazione delle donne in Papua Nuova Guinea è tra le più allarmanti del mondo, eppure nessuno ne parla. Nonostante la ratifica dei più importanti trattati internazionali riguardanti i diritti delle donne e l’esistenza di alcune legislazioni ad hoc, nel Paese la violenza contro le donne e la discriminazione di genere sono ancora all’ordine del giorno.
La pittoresca isola del Pacifico è sicuramente un paradiso naturalistico ma non può dirsi altrettanto per le donne che ci vivono, intrappolate in ruoli di genere stereotipati e costantemente subordinate agli uomini.
Secondo gli ultimi dati, il Paese si posizione 161esima su 162 Paesi nella classifica del Gender Inequality Index: infatti, a causa dell’influenza del Cristianesimo e dei culti tradizionali tribali, le donne in Papua Nuova Guinea sono ancora inquadrate nel binomio moglie-madre e sotto-rappresentate in tutti i campi della vita pubblica.
Nel 1995 il Paese ha ratificato la CEDAW e dal 2002 ha introdotto il Sexual Offences and Crimes Against Children Act, il quale proibisce lo stupro (anche quello coniugale), l’aggressione e lo sfruttamento sessuale dei minori. Il Family Protection Act del 2013, invece, rende la violenza familiare un reato punibile fino a due anni di carcere a cui si accompagna una multa di quasi 2.000 dollari.
Nonostante ciò, lo Stato ha chiaramente fallito nel far fronte alle sue obbligazioni contenute nella strategia nazionale del 2016 e ciò lo si evince soprattutto dalla mancanza di una legge specifica contro la gender-based violence: ogni anno, più di 1,5 milioni di donne in Papua Nuova Guinea subiscono una qualsiasi forma di violenza di genere. In particolare, si stima che oltre il 50% delle donne sia stata violentata e che l’86% è stata picchiata durante la gravidanza. Ne emerge un quadro in cui la violenza contro le donne è socialmente legittimata, spesso perpetrata da chi detiene il potere (come gli agenti di polizia) e circondata da un pesante stigma, oltre che da un silenzio vergognoso.
A ciò si aggiunge la questione della dipendenza economica, in quanto l’economia della PNG è dominata dagli uomini e dal sistema di welfare Wantok: per le donne in Papua Nuova Guinea l’accesso alla terra e alla proprietà privata è fortemente limitato dal diritto consuetudinario così come i loro guadagni sono controllati dai capifamiglia.
Una mentalità retrograda: tra caccia alle streghe e poligamia
Soprattutto nelle aree più rurali come quelle dislocate nella provincia di Hela, le donne subiscono ancora secoli di radicamento di istanze bigotte e retrograde.
Nel Paese sono ancora frequenti gli attacchi e gli omicidi nei confronti di donne accusate di stregoneria, la cosiddetta pratica della “sanguma“. Nella maggior parte dei casi le accuse di stregoneria sono innescate dalla malattia, dalla morte o da altre sfortune che colpiscono familiari o amici, portando gli abitanti del villaggio a cercare vendetta contro la presunta “strega” che ritengono abbia causato la loro disgrazia. Le donne marchiate come “streghe” vengono poi torturate, stuprate e molte volte bruciate vive.
Secondo alcuni, il recente aumento dei casi di caccia alle streghe potrebbe essere dovuto alla gelosia economica causata dal recente boom minerario del Paese, che ha creato un forte risentimento nei confronti delle donne che sono riuscite a diventare indipendenti dal punto di vista finanziario.
Un’altra problematica che colpisce le donne in Papua Nuova Guinea è la poligamia, una pratica molto diffusa in tutto il Paese e concentrata nella regione delle Highlands. Circa 1 donna su 5 vive ancora in un matrimonio poligamo, senza la presenza di alcun tipo di restrizioni nella legislazione del Paese. Le donne in un matrimonio poligamo (solitamente povere e senza un’istruzione di base) sono più rischio di violenze e abusi, sia di tipo fisico che psicologico. Inoltre, secondo recenti dati governativi, il 65% delle prigioniere donne in Papua Nuova Guinea è stato condannato per un crimine legato ai matrimoni poligami, come l’omicidio di un’altra moglie.
A ciò si lega la questione del “bride price“, ossia l’usanza da parte dello sposo di pagare la famiglia della futura sposa, che viene di fatto comprata come se fosse un oggetto e scambiata con beni materiali, bestiame o denaro. Non si tratta solamente di una forma di compensazione ma anche di un modo per rafforzare i legami familiari e disincentivare il divorzio: più è alto il prezzo pagato, più le donne sono sottomesse al proprio marito e mercificate.
Alcune persone sostengono che lo stile di vita occidentale capitalista sia la vera causa della diffusione di tale fenomeno in quanto le famiglie cercano di superarsi a vicenda nel dimostrare il loro status, legittimando così pratiche come lo stupro coniugale.
Discriminazione istituzionalizzata
In Papua Nuova Guinea, la violenza contro le donne non riguarda solamente la sfera privata e familiare ma è presente anche in ambito lavorativo e politico.
Le donne che ricoprono cariche pubbliche di rilievo e partecipano al processo di decision-making nel Paese sono praticamente inesistenti, come dimostra l’esito delle ultime elezioni tenutesi nel 2022 quando solo 2 donne sono state candidate (nel mandato precedente invece il Parlamento era tutto al maschile, per un totale di 10 donne dall’indipendenza del 1975). Secondo un report dell’IFES (International Foundation for Electoral Systems), nel Paese gli uomini sono soliti “insegnare” alle donne chi devono votare mentre le candidate sono spesso svantaggiate rispetto alle loro controparti maschili per mancanza di fondi.
Solo il 5% delle donne del Paese è impegnato in un impiego formale e il 94% di quest’ultime afferma di aver subito molestie o altre forme di violenza sul luogo di lavoro. Infatti, la maggioranza delle donne è impegnata attivamente nell’agricoltura di sussistenza, nell’allevamento o nella pesca, tutti settori che non rientrano nell’occupazione formale. Malgrado ciò, il loro contributo è preziosissimo per quanto riguarda il sostentamento delle loro famiglie e lo sviluppo sostenibile della propria comunità.
Un grande svantaggio è dato infine dall’alto tasso di analfabetismo unito al limitato accesso all’istruzione che colpiscono soprattutto la popolazione femminile, nonostante gli sforzi da parte di ONG e organizzazioni dedicate all’empowerment delle donne.
Definire il meccanismo causa-effetto e le prospettive future
Secondo vari studi, tra le cause più profonde dietro queste numerose discriminazioni c’è il fatto che gli uomini credono di avere il diritto di controllare la moglie, soprattutto se quest’ultima trasgredisce le norme sociali e non si conforma alle aspettative di comportamento – si parla della cosiddetta cultura patriarcale dei “Big Men”, incentrata sull’autorità e l’influenza attribuita esclusivamente alle figure maschili nel contesto dei clan tribali.
Una discriminazione così radicata nel tessuto sociale ha effetti psichici e fisici devastanti sulle donne in Papua Nuova Guinea e la mancanza di servizi adeguati per le survivors rende molto difficile individuare e superare tali barriere. L’assenza di inclusione e diversità sociale è proprio tra i fattori che stanno impedendo al Paese di evolversi, progredire e lasciarsi alle spalle il proprio passato coloniale.
Il lavoro svolto dalle organizzazioni internazionali e la visibilità che certe questioni riescono ad ottenere grazie ad Internet possono sicuramente influenzare la creazione di maggiore consapevolezza nei confronti della violenza di genere nel Paese. In molti sperano che il cambiamento verso il progresso possa partire proprio dall’influenza di Papa Francesco (dato l’alto numero di cattolici presenti sull’isola), anche se l’azione della Chiesa in PNG è stata spesso controversa e in molti casi ha consolidato sessismo e violenza maschile.
La chiave è investire nell’apporto delle donne alla crescita futura del Paese, coinvolgendo direttamente i giovani uomini in tale processo di conciliazione.
Sara Coico