Secondo la cinquantaduesima sessione del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, la negazione dei diritti umani fondamentali alle donne in Afghanistan può equivalere ad una persecuzione di genere. Un crimine contro l’umanità.
La politica intenzionale e calcolata del regime dei Talebani è quella di negare i diritti delle ragazze e delle donne in Afghanistan e di cancellarle dalla vita pubblica.
Queste sono le parole di Richard Bennett, il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Afghanistan, pronunciate all’ultimo Consiglio dei Diritti Umani.
Dall’agosto 2021, periodo in cui sono tornati al potere, i Talebani stanno contravvenendo in modo altamente evidente alla Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, di cui l’Afghanistan è uno dei Paesi firmatari.
Discriminazioni contro le donne in Afghanistan
Sono tanti i modi in cui i Talebani negano i diritti alle donne in Afghanistan.
Partendo dall’istruzione, i Talebani hanno chiuso tutte le scuole del paese (tranne in rarissimi casi) alle adolescenti. Il 22 dicembre 2022, inoltre, il Ministro ad interim dell’Istruzione Superiore ha negato l’accesso alle donne anche all’università, delineando quattro ragioni per legittimare la scelta:
- Presenza di studentesse nei dormitori;
- Spostamenti dalle province senza un mahram (membro della famiglia maschio o coniuge);
- Mancata osservazione dell’uso dell’hijab (“velo” che la donna musulmana deve sempre indossare);
- Esistenza di classi miste.
Ognuna di queste quattro ragioni è considerata fonte di immoralità e indecenza. La negazione dell’accesso all’istruzione ha documentate ripercussioni fisiche e psicologiche: dal suicidio al matrimonio infantile, dall’aumento dello sfruttamento e abuso sessuale fino al rischio di violenze domestiche.
È stato vietato alle donne di entrare in parchi pubblici, palestre e bagni pubblici, in linea con l’interpretazione delle autorità della legge islamica; è stato vietato a medici uomini di curare pazienti donne; è stato vietato alle donne di lavorare per le associazioni non governative nazionali e internazionali. Questo ultimo provvedimento, oltre ad essere altamente discriminatorio, lascia queste organizzazioni senza personale. L’Afghanistan è dipendente dal lavoro delle ONG, le quali aiutano milioni di afghani in difficoltà, in quanto sta attraversando un periodo di grave crisi, economica e umanitaria.
Restrizioni nel movimento, nell’abbigliamento, nella possibilità di accedere negli uffici pubblici o di svolgere ruoli pubblici. Le donne in Afghanistan, infatti, sono state escluse da tutti i livelli del processo decisionale pubblico. È stata data priorità alle opportunità di lavoro agli uomini, in base alla convinzione che siano questi ultimi a dover provvedere al sostentamento della famiglia, mentre le opportunità di lavoro sono concesse alle donna “se/quando necessario”. Le possibilità di impiego delle donne sono quindi estremamente limitate e, naturalmente, l’impossibilità di lavorare in molti casi significa non poter sostenere sé stesse o le proprie famiglie.
Il Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio ha addirittura annunciato la creazione di un dipartimento di polizia morale femminile per “guidare” le donne.
Violenze contro le donne in Afghanistan
È ancora in atto la politica per la quale vengono puniti anche i parenti maschi per le azioni e l’abbigliamento di donne e ragazze. Questo non fa altro che mettere gli uomini contro le donne. Così facendo, si incoraggiano i primi a controllare il comportamento delle seconde e si normalizza ulteriormente la discriminazione e la violenza contro di esse.
Sono in forte aumento le violenze sessuali e di genere contro le donne in Afghanistan e con un’impunità molto maggiore rispetto al passato. Molte vengono trovate morte con chiari indizi di violenza sessuale. Da quando i Talebani sono al potere, sono state riportate oltre 280 morti innaturali di donne e bambine. Il numero è sicuramente più basso di quello reale in quanto tanti casi non sono stati riportati.
Considerazioni
Roza Otunbayeva, capo della missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA), ha dichiarato:
L’Afghanistan sotto i Talebani rimane il Paese più repressivo al mondo per quanto riguarda i diritti delle donne>>. E ancora: <<Confinare metà della popolazione del paese nelle proprie case in una delle più grandi crisi umanitarie ed economiche del mondo è autolesionismo. Condannerà tutti gli afghani alla povertà e isolerà il paese dal resto del mondo.
Nessun paese, infatti, può anche solo sperare di potersi sviluppare socialmente ed economicamente escludendo metà della sua popolazione.
La persecuzione di genere, anche in un solo territorio, è un crimine contro l’intera umanità. Questo tipo di crimine può essere perseguito ai sensi del diritto internazionale. Bennett ha rivolto un un un’invito al procuratore capo della Corte Penale Internazionale a verificare se effettivamente sia in corso. La comunità internazionale ha il dovere di intervenire in quanto la situazione delle donne in Afghanistan è drammatica. Quale sarà il futuro di questo Paese?