Un dizionario deve “registrare” tutte le parole in uso nella lingua italiana “volgare” (nel senso letterario del termine, popolare) oppure deve assumere un atteggiamento critico nei confronti di certi utilizzi antiquati? Il dibattito è aperto. È stata indirizzata all’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani una lettera per chiedere di eliminare i riferimenti sessisti che compaiono nel sinonimo della parola “donna” della versione online del vocabolario.
Tra le firme nomi quali Laura Boldrini, Michela Murgia, Imma Battaglia, Alessandra Kustermann, Alessandra Perrazzelli (vicedirettrice di Banca d’Italia), più un gruppo di attiviste guidate da Maria Beatrice Giovanardi, l’italiana resa nota da una vicenda analoga che ha riguardato l’Oxford Dictionary: la Giovanardi nel giugno 2019 ha lanciato una petizione “Change Oxford Dictionary’s Sexist Definition of ‘Woman’” raccogliendo 35.000 firme: l’iniziativa ha portato il prestigioso Oxford Dictionary a modificare la definizione di “woman” eliminando terminologie esplicitamente sessiste.
Da lucciola a mignotta, gli epiteti meritano di essere citati tutti
Ora sulla Treccani, nella versione online, alla voce “donna”, come sinonimi troviamo (gli epiteti meritano di essere citati tutti):
“Buona donna, donna da marciapiede (o di malaffare o di strada o di vita di facili costumi) [donna che esercita la prostituzione o che è giudicata simile alle prostitute, anche come epiteto ingiurioso], bagascia, baldracca, battona, bella di notte, cagna, cortigiana, donnaccia, donnina allegra, falena, lucciola, malafemmina, marchettara, meretrice, mignotta, mondana, passeggiatrice, peripatetica, prostituta, putta, puttana, squillo, sgualdrina, taccheggiatrice, troia, vacca, zoccola”.
Ora è vero che accanto a ogni termine è specificata l’accezione dell’uso, ad esempio, “spregiativo”, “volgare”, “regionale”, ma l’elenco è forse anche troppo eloquente.
La difesa della Treccani
Così si difende la Treccani: “Il dizionario registra a scopo di documentazione anche tali forme ed espressioni, in quanto circolanti nella lingua parlata odierna o attestate nella tradizione letteraria, ne sottolinea sempre, congiuntamente, la caratterizzazione negativa o offensiva. Se la società e la cultura esprimono negatività attraverso le parole, un dizionario non può rifiutarsi di documentarle”.
Ma è indubbio che il linguaggio ha una sua forza evocativa e un ruolo di memoria storica che non si può ignorare, il vocabolario ci aiuta a ricordare e a connotare la realtà che ci circonda. Quando cerchiamo un termine nel dizionario è per rammentarci il suo significato e aiutarci ad usarlo in modo corretto nella vita quotidiana. Tutte queste accezioni, per lo più negative, influenzano inevitabilmente il modo in cui le donne vengono percepite e trattate.
Il confronto con la parola “uomo”
Singolare il confronto con l’uomo. Tra i sinonimi l’uomo è definito come essere cosciente e responsabile dei propri atti, uomo d’affari, uomo d’ingegno, uomo di rispetto. Ma la donna non è d’affari? Perché non “registrare” allora anche la carriera della donna? La realtà di moltissime donne in carriera non si deve documentare?
Anzi, verrebbe da dire che il fatto di documentarle aiuterebbe a modificare la percezione culturale che abbiamo in Italia del lavoro femminile.
La presa di distanza è sufficiente?
La Treccani risolve la questione con una semplice presa di distanza: “La soluzione sta nell’esplicita presa di distanza che ogni vocabolario dovrebbe assumere rispetto a usi marcati in senso volgare, offensivo o lesivo dei diritti e della dignità di chiunque». E continua, in riferimento alla lettera di accuse ricevuta dove si invita a modificare le voci: “Cogliamo senz’altro la sollecitazione critica nel senso di rivedere con attenzione quanto abbiamo fatto finora e di mettere con più chiarezza in rilievo la presa di distanza dalle parole che pure, per dovere, come abbiamo cercato di chiarire, è nostro compito registrare. Starà poi alla coscienza personale di ciascuno valutare se esistano contesti e situazioni in cui, nell’attuale società, adoperare certe parole sia una dimostrazione di intelligenza e di civiltà”.
Intelligenza, civiltà e coscienza personale
Come se le persone che usano appellativi offensivi stereotipati nei confronti della donna abbiamo un buon livello di intelligenza e civiltà. Purtroppo non si fanno i conti con l’eterogenia della popolazione italiana, a livello sociale, culturale ed economico.
La coscienza personale di cui si parla è influenzata dai comportamenti, dalle espressioni che vengono utilizzate, dalla pubblicità, dai libri primi in classifica, e perché no, dal significato di una parola scritta in un dizionario. Forse è il caso che quest’ultimo prenda lui coscienza del ruolo di responsabilità che lo riguarda, soprattutto se ha una forte autorevolezza. E se ancora oggi, una direttrice d’orchestra ha bisogno di essere chiamata “direttore”, forse è il caso che la Treccani ci rifletta seriamente.
Marta Fresolone