Donne e corpo in lotta: per occupare sempre più spazio

Donne e corpo in lotta

Donne e corpo in lotta: perché è importante occupare fisicamente lo spazio pubblico e simbolico?

Donne e corpo in lotta: oggi è l’8 marzo, la Giornata Internazionale della Donna, e – come ogni anno – in tutta Italia la lotta transfemminista scende nelle strade delle città. Il costante lavoro dei movimenti e dei collettivi transfemministi è estremamente visibile in tutta la sua materialità, nei corpi che scendono in piazza, nella lotta che le donne e le persone che non si riconoscono nella norma eteropatriarcale portano avanti. Intendiamoci: sono movimenti che lavorano incessantemente, non solo l’8 marzo, ma in questa giornata diventano estremamente visibili e riconoscibili per l’opinione pubblica italiana.

Oggi vediamo non solo le donne, ma anche le persone che non si conformano alla norma eteropatriarcale scendere nelle piazze e nelle strade con i propri corpi. Perché è così importante – per chi può farlo – utilizzare i corpi come strumento di lotta e di comunicazione?

Il corpo delle donne, a livello pubblico e mediale, appare ancora meno importante e rispettato rispetto a quello degli uomini. I corpi delle donne – e delle persone che non rispecchiano la norma – sono quelli scrutinati e giudicati più duramente nell’arena pubblica e mediale. O sono troppo grassi, o troppo magri, o troppo superficiali, o non abbastanza curati, e via dicendo. Ma non sono i corpi delle donne ad essere sbagliati. Il loro controllo – ben spiegato dalla biopolitica di Foucault – è necessario perché il corpo può essere uno strumento di potere, di emancipazione, di leadership.

Non è un caso che alle bambine venga insegnato che devono tenere le gambe incrociate, stare sedute composte, controllare la propria forma fisica e cercare disperatamente di essere magre. Un corpo piccolo è un corpo poco visibile, che resta in disparte, che non ruba la scena, e, soprattutto, che non incute timore agli uomini e al patriarcato.

Un corpo composto e che non occupa spazio non può ribellarsi e comunicare ciò che desidera. La comunicazione è potere: se la norma – già dall’infanzia – cerca di togliere tale potere alle donne, cosa resta quando le bambine diventano adulte?

Un esempio del diverso spazio dato alla comunicazione non verbale degli uomini e delle donne è evidente nel campo della politica. Le leader devono ingegnarsi per trovare modi efficaci di combattere il bias di genere che Kathleen Hall Jamieson ha definito come double bind e che Donatella Campus spiega così:

Le donne devono mostrarsi aggressive per non venir bollate come deboli e quindi non qualificate per fare il capo, ma se agiscono con troppa decisione vengono criticate come troppo aggressive.

In questo senso, conta molto l’utilizzo del corpo e dei suoi movimenti. Performare contemporaneamente e “in modo corretto” sia il ruolo di genere femminile che quello di leader è complicato. Infatti, i tratti che l’opinione pubblica riconosce come tipicamente femminili non sono quelli che riconosce come positivi per l’esercizio della leadership. Se una leader muove molto le mani può essere considerata troppo aggressiva, ma se sta seduta con le gambe incrociate e senza muovere le braccia appare poco attiva e mordace. Se alza il tono di voce spaventa i possibili elettori, ma se parla senza urlare non viene ascoltata. La cultura eteropatriarcale non lascia scampo, perché non sono i corpi delle donne a non andare bene. È il fatto stesso che tali corpi esistano e occupino spazio ad indispettire la norma, che li vorrebbe relegati all’ombra e allo spazio domestico.

E allora, cosa possiamo fare?

Il corpo è uno strumento di comunicazione potente, forte, che spaventa. Proprio per questo è necessario usarlo, se possiamo: non tutte hanno la possibilità di farlo, e ogni strumento di lotta è utile, ma occupare lo spazio pubblico con i nostri corpi ha un effetto concreto sull’opinione pubblica. Vedere donne e alleat3 occupare le strade e le piazze fianco a fianco, supportandosi con la concretezza dei propri corpi, ha una grande forza simbolica. Per tutte le donne, ma anche per chi non si riconosce nell’identità di uomo bianco, cisgender, eterosessuale, abile e privilegiato. I corpi che si stringono e camminano insieme ci dicono che non siamo sole.

E anche che più siamo ingombranti, più occupiamo lo spazio oggi, più spazio liberiamo per darlo a quelle che lotteranno dopo di noi.

Debora Dellago

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