Essere donna e senza figli: uno stigma che incredibilmente va ancora avanti, nonostante i grossi cambiamenti che la nostra società ha visto negli ultimi decenni.
Lunadigas: uno spazio di autocoscienza per chi è donna senza figli
Una donna che ha deciso di non avere figli ha pochi spazi per parlarne, in modo pacato, con altre donne che vivono questo stigma.
Uno di questi, è lo spazio virtuale (sito e gruppo facebook) creato dalle Lunàdigas, donne che hanno scelto, per definirsi, il nome con cui i pastori chiamano le pecore che , in alcune stagioni, decidono di non riprodursi.
Dal sito delle Lunàdigas, che hanno prodotto anche un interessante documentario, leggiamo:
Un numero crescente di donne in Italia sceglie di non avere figli. Lunàdigas ha dato loro voce, portando alla luce un mondo poco esplorato, oltre ogni pregiudizio
La donna senza figli, il paternalismo, la discriminazione strisciante
In questi spazi (Lunàdigas è solo uno di questi, ma ne esistono diversi rivolti alle persone Childfree), senza alcun giudizio per tutte quelle donne che invece i figli li hanno voluti, le donne senza figli per scelta affrontano lo stigma rivolto a chi ha perseguito un altro destino, e si trova continuamente vittima di una discriminazione strisciante, battute, allusioni, frasi paternalistiche, che giudicano la sua scelta.
Non solo sfoghi: discriminazione sul posto di lavoro e il bombardamento “pro maternità” dei media.
Questi spazi non sono solo destinati agli sfoghi di chi, ogni giorno, riceve commenti poco graditi dalla famiglia d’origine, da potenziali partner, da amici e colleghi: si parla anche di discriminazioni lavorative (ad esempio, un maggiore carico di lavoro rispetto a chi ha figli, oppure l’obbligo di lavoro in presenza, mentre chi ha figli ha avuto la possibilità di remote working), e anche di tutti quei messaggi subliminali che i media, moderni e tradizionali, trasmettono per indurre la donna al destino di madre.
L’essere donna senza figli: sfuggire al sessismo verso il ruolo di madre rispetto a quello di “genitore”
Non si riflette solo di questo, in questi spazi: si riflette anche su tematiche relative al femminismo intersezionale, ovvero al fatto che nell’immaginario relativo all’essere “madre” c’è un carico di “binarismo di genere” che non attribuisce valori neutri all’essere genitore, ma sovraccarica l’essere “genitore donna” (madre) di ruoli di cura sovradimensionati e sproporzionati rispetto a quelli del “genitore uomo” (padre).
Un dialogo intersezionale: le aspettative per le persone non binarie e la loro genitorialità
Essendo uno spazio intersezionale, hanno voce anche quelle persone, di genere non conforme, che vengono ricondotte, per documento, per aspetto, o per “dotazione biologica”, al femminile ed ai suoi doveri, e che genitori non vogliono (o possono) diventare a modo loro, senza cadere vittima dello stigma binario e biologista.
Lo stigma per chi è senza figli: perché colpisce più la donna?
Anche uomini cisgender ed eterosessuali frequentano i gruppi “childfree”, e anche loro sono colpiti dalla discriminazione strisciante che colpisce chi decide di non mettere al mondo dei figli, eppure sono le donne quelle più soggette a battute sull’ “orologio biologico”, come fossero articoli con una “data di scadenza”.
Questo non succede solo per motivi fisiologici (i corpi femminili sono fertili per meno tempo), ma soprattutto per motivi culturali: fino a pochi decenni fa il ruolo principale riservato alle donne era quello di fare figli: era la vera unica missione della donna, e, nonostante il progresso avvenuto, non riusciamo a smarcarci da questa visione.
A discriminare la donna senza figli, a volte sono le donne stesse.
A volte, e non raramente, le battute striscianti verso le donne senza figli arrivano proprio da quelle donne che hanno scelto di farli: si passa da uno strisciante “fortunata” a critiche ben più cariche di biasimo e giudizio, come se queste madri volessero insinuare che la donna senza figli si è sottratta a un dovere, ad un carico che invece lei, responsabilmente, sta portando sulla sua schiena.
Immature, egocentriche, individualiste: così appellano le donne che hanno scelto una strada di non genitorialità.
Purtroppo, è un fenomeno di misoginia interiorizzata che riguarda molte donne che, legittimamente, hanno risposto in modo conforme alle aspettative sociali, provando un sentimento di fastidio, quando non di invidia, per le donne che hanno scelto altre vie.
Nathan Bonnì – Progetto Genderqueer