Il 78% delle dimissioni certificate dall’ispettorato del lavoro nel 2016 sono state presentate da donne con figli. Motivo? Per la metà di loro ciò che le ha spinte ad abbandonare un lavoro sicuro era l’impossibilità di far conciliare il loro ruolo di madri con gli impegni lavorativi.
Si tratta di donne che hanno dovuto rinunciare a svolgere un lavoro per cui erano qualificate, si tratta di donne che hanno subito forse la discriminazione peggiore: è stata negata la libertà di scegliere. Scegliere di essere sia madri che professioniste competenti.
A molti potrà sembrare quasi surreale dover leggere dati che si pensava descrivessero una realtà antecedente alla Rivoluzione Industriale ma che invece hanno proprio a che fare con situazioni lavorative tipiche dei giorni nostri.
Tra le cause che hanno spinto queste donnea lasciare il lavoro vi è l’assenza del supporto dei parenti, il mancato accesso dei bambini al nido, i costi proibitivi delle baby sitter. Insomma le condizioni peggiori per poter raccogliere i frutti di una vita dedicata alla preparazione così da esercitare al meglio la propria professione.
Un 78% di dimissioni volontarie che sotterra e svilisce il tasso di occupazione femminile che, solo dopo tanto tempo e soprusi, è giunto al 48,8%, nonostante la media europea sia molto più alta (62,5%).
Da queste considerazioni non sorprende il quadro che è emerso dal rapporto dell’Ocse sulle competenze dei lavoratori italiani: le donne vengono presentate come “assistenti familiari” poiché si occupano della maggior parte del lavoro domestico non retribuito.
Le 29.879 madri che hanno dovuto lasciare il lavoro o che hanno risolto il contratto, rientrano in due fasce di età ovvero tra i 26 e i 35 anni e tra i 36 e i 45 anni.
Altro dato sconfortante che emerge dal rapporto è che l’assenza di strutture di accoglienza sul territorio nazionale, spinge molto spesso le donne lavoratrici a doversi occupare in prima persona dei bambini vista la carenza delle strutture pubbliche e i costi proibitivi degli asili privati.
Secondo l’Istat, sui 13.459 asili nido solo il 35% è pubblico e il restante 65% è privato per un totale di 360.314 posti disponibili (163mila nei pubblici). Soltanto il 12% dei bambini fino a 2 anni usufruisce del nido pubblico.
Da ciò si evince come le lavoratrici siano quasi “costrette” a dedicare in media più di cinque ore al giorno alla cura dei figli. Grazie a questo “conquistano” il quarto posto tra quelle dei Paesi Ocse e grazie al fatto che, in media, il compagno riserva solo 100 minuti al giorno per la cura dei figli.
Questa considerazione trova riscontro nei dati dell’Inps riguardo la richiesta dei congedi dal lavoro: nel 2016 su 306.701 lavoratori dipendenti che hanno usufruito del congedo parentale, solo 52.130 sono papà mentre i restanti 254.571 sono madri. Un differenza che evidenzia, ancora una volta, l’enorme peso che grava sulle spalle dalle mamme lavoratrici: da sole ad occuparsi dei bambini e per questo tra quelle che usufruiscono maggiormente dei congedi dal lavoro.
Sulla questione è intervenuto anche il presidente dell’Inps, Tito Boeri, che ha criticato la richiesta presentata dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti: quest’ultimo chiedeva una sorta di sconto sui requisiti contributivi per le donne con figli. Secondo Boeri non è con le scorciatoie che si risolve il problema di fondo, l’assenza di potere contrattuale delle donne, ma affrontandolo di petto.
Più che analizzare la natalità ai minimi storici o l’occupazione femminile che cresce troppo lentamente , bisogna evidenziare la necessità di una politica sociale a supporto della famiglia. In quanto non è concepibile che nel 2017 si obblighino le donne a rinunciare al sacrosanto diritto di lavorare, di essere sia madri, donne che professioniste.
Dorotea Di Grazia