A Donetsk dopo otto anni di indifferenza, regna ancora il silenzio.
Donetsk, oltre venti le vittime a causa del fuoco ucraino. Che la guerra provochi la morte di molti civili, credo sia ormai questione chiara. Come evidente è il fatto che le bombe intelligenti siano il frutto della stupidità umana.
Aberrante e strano è invece che quasi nessuna testata giornalistica, in questi giorni attentissime a seguire ogni minimo dettaglio di quanto sta avvenendo nel conflitto in Ucraina, al momento parli, o provi a raccontare, l’ accaduto di stamattina nel centro di Donetsk, capoluogo dell’omonima Repubblica Popolare.
I fatti a Donetsk
Sono le ore 10.30 italiane quando da Donetsk cominciano ad arrivare le prime notizie sul lancio da parte dell’esercito ucraino di un missile balistico a corto raggio, un Tochka U per gli esperti; armamenti utilizzati quasi nel quotidiano dalle forze di Kiev contro obiettivi strategici delle Repubbliche del Donbass.
Le immagini sono cruente e strazianti, chi scrive preferisce non sottoporle all’occhio del lettore perché ritiene che il giudizio circa la gravità di un gesto non passi necessariamente dai volti sofferenti, dal sangue e dallo strazio.
Siamo nel centro della città, non vicino ad obiettivi sensibili.
Al momento si contano almeno 20 civili morti, moltissimi feriti, alcuni dei quali in situazione grave; si tratta principalmente di pensionati in coda al bancomat e di persone che transitavano per le vie principali della città, a bordo di automobili private e autobus.
Anche qui si sentono urla, disperazione, spavento. Perfino la lingua in cui soffrono è quasi la stessa. Eppure.
La stranezza della situazione
Sfoglio compulsivamente siti internet di quotidiani, cambio canale tra un telegiornale e l’altro.
Nulla o quasi. Si parla di Kiev, di Leopoli, di Mariupol; si seguono gli sviluppi dei negoziati per un’eventuale pace, tenuti in comode e sicure stanze. Non vi è però accenno ai morti di Donetsk. Ancora una volta tutto tace.
Mi continuo a chiedere il perché, come se avessi la minima speranza che i civili siano tali aldilà della regione del mondo che abitano.
In queste settimane abbiamo assistito a ricostruzioni con palesi e doppi metodi di giudizio, a analisti e storici accusati di dire stupidaggini, a professori universitari che, prima di iniziare un discorso, hanno dovuto fare premesse circa la loro posizione, a casi di montante russofobia, ad armi inviate per raggiungere la pace. Anche ad inquietanti casi di revisionismo storico.
Perché allora stupirsi di questo silenzio?
Forse più che stupore, c’era la speranza che dopo anni di indifferenza nei confronti di queste persone, come di molte altre, qualcuno potesse rendersi conto che è proprio il disinteresse a generare conflitti, incomprensioni e quindi, in futuro, guerre.
Ma non ci piace analizzare, informarci realmente, sapere. Ci schieriamo e in quel determinato momento decidiamo chi piangere; per altri morti la pietà viene meno.
Non serviva, per rispetto di queste persone martoriate da anni e per le vittime di oggi, prendere una posizione o esprimere un giudizio.
Bastava che qualcuno ne parlasse, che l’informazione svolgesse il suo lavoro.