Nel mondo del volontariato donare il sangue è considerato uno dei gesti più altruistici, tanto che i donatori sono spesso descritti come degli “eroi”. In effetti, la donazione comporta dei requisiti da rispettare: bisogna mantenere un sano stile di vita, non aver fatto piercing, tatuaggi o cambiato partner sessuale nei precedenti 4 mesi e soprattutto è necessario affrontare l’atto vero e proprio, cioè il prelievo. Potrebbe spingere a provare questa forma di volontariato sapere che il rapporto tra donazioni e pazienti trattati è incredibile: 5 donazioni consentono di trasfondere circa 1.748 pazienti al giorno e di trattare con medicinali plasmaderivati migliaia di persone quotidianamente. Purtroppo, in Italia i donatori rappresentano solo circa il 5% della popolazione e, anche se stanno aumentando soprattutto tra i giovani, rispetto al periodo pre-covid i donatori del sangue sono diminuiti e questo ovviamente non è un bene per le persone più fragili.
Il sistema del sangue in Italia
A differenza di altri Stati, in Italia il sistema del sangue è completamente affidato alle donazioni e non prevede una remunerazione. Al momento, i donatori sono circa 1,67 milioni, il 5% della popolazione. Sono soprattutto le associazioni di volontari ad occuparsi della raccolta del sangue: le principali sono AVIS, Croce Rossa, Fidas e Fratres.
Come anticipato, per donare il sangue è necessario rispettare dei parametri ben stabiliti: niente sesso occasionale, piercing e tatuaggi recenti, è necessario mantenere uno stile di vita relativamente sano e avere un emocromo idoneo alla donazione, senza valori alterati. Il primo step sono quindi le analisi del sangue, che comprendono anche i test per le principali malattie veneree, come l’HIV, l’epatite B, l’epatite C e la sifilide. Ovviamente, i test sono totalmente gratuiti e i potenziali donatori dopo il prelievo hanno la possibilità di mangiare e bere.
I risultati delle analisi sono pronti circa un mese dopo e se si è idonei si può procedere con la donazione. Sfatato il mito dello stomaco vuoto (medici e infermieri sconsigliano il digiuno, l’importante è evitare latte e derivati), al donatore viene fatto un check di controllo. Se è tutto regolare, può cominciare la donazione vera e propria.
La voce dei giovani donatori italiani
Stefano, 33 anni, iscritto all’Avis di Pescara, racconta come si è avvicinato a questo mondo e gli eventi che lo hanno spinto a diventare un donatore del sangue:
Ho sempre schivato gli aghi fin da bambino, non mi piaceva fare le analisi e la farfallina con cui giocavano le infermiere in realtà mi incuteva un senso di disagio e paura. Poi, da giovane adulto, ho avuto la possibilità di entrare nel mondo di casa AGBE (Associazione Genitori Bambini Emopatici) a Pescara e, a contatto con quei bambini così vulnerabili e in pericolo di vita, mi sono convinto per la prima volta a donare il mio sangue.
Ricordo che andai con la nuvola del timore infantile, ma incoraggiato dalla voglia di aiutare qualcuno che ne aveva davvero bisogno e tutt’ora ogni volta che esco con qualche litro di sangue in meno, il mio cuore è più leggero. Il merito non è dell’ipovolemia, ma è del pensiero che con così poco potrei aver salvato la vita di uno di quei bambini con cui sono stato a contatto durante un periodo della mia crescita che rimarrà indelebile nella mia memoria.
Anche per Dario, 26 anni, donare il sangue rappresenta un atto di generosità che lo fa stare bene:
Dal punto di vista fisico, un pochino di debilitazione la senti, i primi dieci minuti, poi basta che bevi un po’ di acqua, ti reidrati e stai bene. A livello emotivo è ovvio che stai bene, dopo aver fatto una donazione di sangue oggettivamente non riesco a rimanere indifferente, mi sento utile, sento di aver fatto una cosa buona per il prossimo, per una giusta causa. Naturalmente non sai a chi va a finire quel sangue, ma ci sono i due giorni successivi, quando vedi la ferita sul braccio e senti di aver fatto la cosa giusta.
Cecilia, 24 anni, si è avvicinata al mondo delle donazioni a causa di una situazione personale, spinta dalla voglia di dare il suo contributo:
Nel 2021 è successo che il figlio di 3 anni di un’amica della mia famiglia si è ammalato di leucemia. Per un anno sono stata a casa loro per aiutare lei e gli altri figli con i compiti e sono stata a stretto contatto con questo bimbo e con i suoi fratelli. Starci vicino mi ha fatto capire che lui aveva davvero bisogno di aiuto in quel senso. Oggi quel bimbo sta bene, è guarito. Lo vedo come uno schema intrecciato, ho donato del sangue che ha aiutato qualcuno che non conosco, esattamente come il bambino è stato aiutato da qualcuno che non conosce.
Per me è un gesto talmente semplice che mi viene spontaneo chiedere: perché non farlo? Io non ho fatto niente, non ho un superpotere, ho semplicemente del sangue, se posso donarlo perché non farlo?
Allo stesso modo, per Francesca, 31 anni, e Rinaldo, 29 anni, le principali emozioni provate sono la gratificazione e l’appagamento. Noemi, 20 anni, invece dice di essere felice nel momento della donazione, ma in seguito si sente spossata e “anche un po’ depressa, penso di essere l’unica al mondo che reagisce cosi dopo aver donato“. Ovviamente, non mancano le testimonianze di chi non è riuscito a concludere la donazione o è svenuto nel mentre, ma è giusto almeno essere consapevoli dell’impatto positivo che può avere un gesto così semplice, in grado di salvare migliaia di vite umane. E in caso di spossatezza, i succhi di frutta che offrono le associazioni sono un efficace rimedio, provare per credere.