Dolle Mina e il vivace femminismo olandese del dopoguerra

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Il 23 gennaio del 1970, ad Amsterdam il gruppo femminista Dolle Mina, per protesta brucia i propri reggiseni nei pressi della statua di Wilhelmina Drucker.

Chi erano queste donne, e per cosa si battevano?

Dolle Mina era un gruppo femminista aderente alla sinistra radicale, nato nel 1969 in Olanda. Sostenevano e difendevano la parità di diritti delle donne attraverso manifestazioni e proteste “giocose”.

A ispirare il nome fu Wilhelmina Drucker (1847-1925), una delle prime femministe olandesi, soprannominata “Iron Mina” (Dolle, invece, significa letteralmente “pazza”), la quale un secolo prima aveva perseguito gli stessi obiettivi del gruppo neo-formatosi, che dava ora inizio alla seconda ondata di femminismo nel Paese.

Tutto ebbe inizio nel settembre 1969, quando una manciata di uomini e donne si indignò davanti alla scoperta che, per aver partecipato a un sit-in di protesta, alle donne venne inflitta una multa meno onerosa rispetto a quella degli uomini. Evento piuttosto divertente, se non si considera il fatto che per loro una multa più bassa significò che le donne erano tenute in minore considerazione, e che la loro voce in politica contava meno di quella degli uomini.

Nacque così un gruppo che condivideva un certo malcontento verso la disuguaglianza di diritti e opportunità tra donne e uomini. Nonostante i diritti formali riconosciuti negli anni ’70, ingiustizia e discriminazione erano ancora latenti.

Dolle Mina aveva una visione marxista; sorse dal gruppo socialista giovanile “Socialistische Jeugd”, che auspicava la nascita di un nuovo movimento femminista. Nell’aprile 1970, durante il loro primo congresso, riuscirono a scrivere (non senza difficoltà) una dichiarazione in cui tutti potessero ritrovarsi:

«Posto che le divisioni dei ruoli tra uomini e donne non sono difendibili sul piano biologico, Dolle Mina mira a cambiare la società affinché possa garantire pari opportunità per tutti, a prescindere dal genere. Questo può essere realizzato attraverso la lotta sociale, la consapevolezza e un cambio di mentalità, da cui derivi la fine della subordinazione economico-sociale sia degli uomini che delle donne».

Dolle Mina riuscì ad attirare l’attenzione dei media e dei politici attraverso singolari proteste.

La prima contestazione avvenne il 23 Gennaio 1970, con l’assalto al Nijenrode Castle, Università privata che all’epoca ammetteva solo uomini, poco dopo si recarono davanti alla statua di Wilhelmina Drucker, dove diedero fuoco a dei reggiseni.
Nei giorni a seguire bloccarono i servizi igienici con dei fiocchi rosa, per protestare contro l’assenza di bagni pubblici destinati alle donne. Entrarono in tutti i bar e locali pubblici tipicamente maschili, esigendo la possibilità di usufruire di quegli stessi spazi. Fischiarono gli uomini per strada, per protestare contro l’analogo comportamento degli uomini verso le donne.

In una protesta per il diritto all’aborto, le attiviste di Dolle Mina scrissero sulle loro pance “Baas in Eigen Buik”, che significa letteralmente “Boss del mio ventre”, e sollevarono le magliette per mostrare quelle parole. Distribuirono profilattici e informazioni sulla contraccezione, diffondendo l’idea che l’uso dei contraccettivi potesse far diminuire il numero di aborti.

Nel giro di poche settimane, Dolle Mina acquisì migliaia di sostenitori. Sin dall’inizio furono formati gruppi di lavoro, la maggior parte di questi si concentrava su questioni pratiche (aborto, madri single, asili nido, stipendi), ma c’era anche un gruppo più teorico che si focalizzava sull’educazione.
Le Dolle Mina furono interpellate dal governo e invitate ad assemblee come portavoce di tutte le donne e in difesa dei loro diritti.

Dolle Mina è ancora oggi riconosciuto come un simbolo del femminismo del dopoguerra.

È inciso nella memoria collettiva come un gruppo di giovani donne “con gli attributi”, che esigono un cambiamento attraverso dei metodi di protesta originali. I successi raggiunti, quali pari opportunità nel lavoro, migliori servizi per l’infanzia, libertà sessuale e una revisione dei ruoli tra uomo e donna sono attuali argomenti di dibattito sociale.

Cosa ci dice, quindi, questo pezzetto di storia olandese? Significa che un femminismo costruttivo che contempla il dialogo è stato ed è ancora possibile. Un femminismo sentito anche dagli uomini, consci delle differenze sociali che dividono e creano malcontenti.
Quel femminismo che non odia gli uomini (tranne giustificabili eccezioni!), che cerca parità e non maggiore disuguaglianza, che non vuole privilegi colorati ma pretende che una donna venga considerata per quello che vale (o non vale, a seconda dei casi).

Così come scrivevano le Dolle Mina, sono convinta anche io che sia necessario un cambiamento nella mentalità (tutt’ora), eppure noi continuiamo a insultarci a vicenda e a tacere di fronte alle ingiustizie subite, come un cane che si morde la coda senza sapere che è parte di lui.

Stefania Costanzo
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