Dodici professori. Quindici secondo alcune fonti, diciotto secondo altre. Ma l’ipotesi più accreditata indica che, su un totale di 1250, solamente dodici professori dissero “No” a Mussolini, decidendo di non firmare il giuramento al regime fascista. Era il 18 novembre 1931.
L’obbligo di giuramento al regime
L’obbligo di giuramento fu introdotto durante il processo di fascistizzazione dello Stato, avviato nel 1925 con le cosiddette leggi fascistissime. L’obiettivo era quello di tenere il più possibile sotto controllo il mondo accademico, temuto per le forme di dissenso che avrebbe potuto innescare.
I più oltranzisti avrebbero voluto fin da subito allontanare dalla cattedra i professori ritenuti politicamente “poco affidabili”. Ma il matematico Francesco Severi propose una linea differente, che trovò il consenso sia di Gentile che di Mussolini. La proposta fu quella di imporre ai docenti la firma di un giuramento, con il quale si dichiarava fedeltà non solo alla patria ma anche al regime fascista.
La mancata firma avrebbe comportato l’allontanamento dalla cattedra senza diritto a forme di liquidazione né di pensionamento, oltre a persecuzioni, divieti e una strettissima sorveglianza.
I dodici professori e il loro storico rifiuto
Come già detto, soltanto dodici professori rifiutarono di firmare. Dodici professori diversi per estrazione sociale, credo religioso e collocazione politica. Tra loro, infatti, vi furono socialisti e liberali, altoborghesi e figli di tabaccai, cattolici, anticlericali ed ebrei. Ad accomunarli, un raro senso civico e morale.
Questi i loro nomi:
Ernesto Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vita, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Francesco ed Edoardo Ruffini, Lionello Venturi e Vito Volterra.
Nel libro Il giuramento rifiutato, lo studioso tedesco Helmut Goetz ha raccolto numerosi aneddoti su questa vicenda. Uno di questi riguarda il filosofo Piero Martinetti, il quale, rivolgendosi a uno studente condannato al confino, disse:
Non ho alcun diritto di interrogarla sull’etica kantiana: resistendo a un regime di oppressione lei ha dimostrato di conoscerla molto bene. Qui il maestro è lei. Vada pure, trenta e lode.
Il fronte del Sì
Eterogeneo e non poco tormentato fu il fronte del sì.
Il segretario del PCI Palmiro Togliatti spinse i professori più vicini al partito a firmare il giuramento. In questo modo avrebbero potuto svolgere, disse lo stesso Togliatti, «un’opera estremamente utile per il partito e per la causa dell’antifascismo». Anche il mondo ecclesiastico si schierò per il sì, pur «con riserva interiore».
Tra i “disgustati” spicca il professore di letteratura italiana Alfredo Galletti, che dopo aver firmato con la mano coperta da un guanto, scagliò rabbiosamente la penna sul tavolo.
«Firmo perché padre di famiglia», tuonò invece Francesco Lemmi, docente di Storia del Risorgimento a Torino.
Fu proprio questa la ragione che spinse molti professori, pur lacerati nella propria coscienza, a firmare il giuramento.
Il pedagogista Giuseppe Lombardo Radice, rivolgendosi a De Sanctis, disse in lacrime:
Coprirò di vergogna tutta la mia opera di scrittore e di pensatore, ma non posso mettere sul lastrico i miei figlioli giovinetti.