C’era una volta una ragazza americana, originaria di Siattle, poco più che 20 enne.
Una fanciulla candida, dal viso livido e gli iridi di un colore vitreo. Glaciale.
Una bambina che si affacciava al mondo degli adulti, magrolina, una bella ragazza, come tante altre.
Poi c’era lui; un pugliese studente d’ingegneria, appassionato di videogiochi, un classico nerd della sua età, che poco ci sapeva fare con le ragazze.
Ho dimenticato qualcosa? Ah, certo. C’era una ragazza inglese, che ancora ci appare bellissima.
Meredith Kercher, una figura marginale.
Un reggiseno dal gancetto strappato, che non parlerà mai.
Un africano, che essendo malauguratamente nato dalla parte del mondo sbagliato, non interessa a nessuno.
Un datore di lavoro di un pub.
Un’università, qualche canna ogni tanto, tanto buon sesso.
E Perugia, quella fantastica cittadina pittoresca che si trasforma in Gotham City in una fiction paradossale quanto affascinante, apparsa sugli schermi italiani di Netflix dal 30 settembre di quest’anno.
Un omicidio. Che paradossalmente sembra essere marginale.
E Meredith Kercher, una ragazza bellissima che fa da comparsa in un documentario sfacciato, che riprende le orme di Sharlock Holmes in una delle sue puntate migliori.
Per sottolineare l’assurdità del processo mediatico che ha fagocitato quella che era una vera tragedia, Netflix costringe i protagonisti di un film allucinato e coinvolgente, a rivestire quei panni che vorrebbero tanto abbandonare.
“O sono una psicopatica travestita da agnellino, oppure sono come voi”.
Ciak si gira.
C’è una finestra rotta, macchie di sangue ovunque, un piede che fa capolino da una coperta.
C’è odore di sesso, di canne, di morte.
Amanda Knox. Stiamo parlando del documentario girato da Rod Blackhorst e Brian Mcginn.
I due registi si sono interessati alla vicenda intorno al 2011, stupiti dal fatto che dopo 4 anni fosse ancora sulle prime pagine. Il loro intento chiaramente era quello di mostrare al mondo i fatti, riordinare la sequenza di questi, e non di certo condannare qualcuno.
Ne emerge un caos impressionante, disorganizzazione nel processo svolto, le indagini che andavano a rilento, soffocate dalla pressione mediatica.
Nuovamente un caso di inefficienza italiana, che viene rimarcato ancora e ancora in prove di colpevolezza fittizie, Dna contaminati, dati scientifici interpretati e non letti nella sacrosanta oggettività che spetterebbe.
Mefistofelica, satanica, demoniaca, diabolica. Strega dell’inganno, prevertita, malata di sesso.
I media hanno trasformato la vicenda nel caso del secolo, la storia perfetta.
L’attenzione morbosa al caso ha trascinato tutti fuori strada. Si è persa di vista la tragedia, l’umanità, le persone.
Scoprire la verità era diventato sempre più difficile. Inseguirla impossibile, e anche chi aveva il compito di giudicare si è trovato travolto da un’imponente pressione mediatica.
Stiamo ancora parlando dell’omicidio di Meredeth Kercher?
Sembra quasi sia stato il giornalismo da tabloid ad ucciderla.
Nel documentario girato da Rod Blackhorst e Brian Mcginn notiamo un’infantile vanità e un candido autocompiacimento dei due protagonisti reali dell’intera fiction.
Ah, ancora non ve l’ho detto? Neanche Amanda e Raffaele giocano il ruolo principale.
Il procuratore di Perugia Giuliano Mignini e il cronista del Daily Mail Nick Pisa sono i veri Io parlanti, i perni principali attorni ai quali ruota l’intera vicenda. Nella durata dell’intera pellicola, di fatto, emerge quanto il primo si preoccupi di lodare i suoi inconfutabili talenti, ed elettrizzi all’idea di sentirsi un degno discepolo di Sharlock Holmes.
L’intero documentario è una facciata sfacciata che illustra un sistema investigativo e giudiziario confuso, sopravvalutato, criticato, stereotipato. E schiacciato dalla pressione mediatica che, dal canto suo, premia e nutre queste sopravvalutazioni e ingigantimenti innaturali di ego altrui già sufficientemente pompati.
Tutto questo dimenticando il rispetto, e la conservazione delle più elementari regole giornalistiche.
Ma non stiamo parlando di mostri.
Parliamo di un uomo che ridacchia davanti ad una telecamera, personaggio sciacallo e spregiudicato, estasiato dall’idea di entrare in possesso di morbosi diari segreti privati di Amanda Knox.
Parliamo di un uomo che osserva compiaciuto l’orizzonte dei tetti perugini, definendosi “profeta di patria”.
Stiamo ancora parlando dell’omicidio di Meredeth Kercher?
Sembra sia stato il giornalismo da tabloid ad ucciderla, quella disumanità giornalistica e mediatica, che ha dimenticato che si sta parlando sempre e comunque di vulnerabili esseri umani.
A che serve quindi processare? E’ davvero servito a qualcosa questo processo infinito?
Il processo dovrebbe essere il luogo dove si conferma o si smentisce un’ipotesi fatta in precedenza. Sia che assolva o condanni un processo avrà comunque fatto giustizia. Il compito dovrebbe comunque essere quello di decidere se chi è accusato ha compiuto o meno il fatto.
Infine, questo documentario, girato da Rod Blackhorst e Brian Mcginn; tale fiction, condita con quel pizzico senso del macabro, sapientemente miscelato insieme ad un romanticismo velato da un pesante velo di perversione, è stato creato dalla potente America, e messa in onda su Netflix.
Cosa sarebbe successo se a crearla fosse stata l’Italia stessa?
Stiamo ancora parlando dell’omicidio di Meredeth Kercher?
Il processo è stato per anni spiattellato sulle prime pagine di ogni quotidiano del mondo.
Se lo mettiamo su Netflix ci sentiamo forse più fighi?
Viviamo ancora in un mondo parallelo, dove la giustizia non è uguale per tutti.
Un mondo dove un ragazzo africano è stato sbattuto dietro le sbarre senza troppi se e ma.
Un mondo dove una cittadina americana, dal volto livido e gli iridi dal colore vitreo, ha potuto fare rientro a casa dopo 4 anni.
Viviamo in un mondo molesto, contraddittorio e terribilmente sporco.
Un luogo tondo, dove tutto ruota costantemente, attraverso un ritmo ben preciso, che spesso ci procura profonde emicranie.
Il documentario di Amanda Knox vuole essere uno studio psicologico su due personalità complesse, tortuose e probabilmente anche un po’ disturbate. Una riflessione sull’etica giornalistica e sulle indagini, profondamente confuse, drogate ed incerte, soffocate da una curiosità morbosa mediatica.
Si rivelano le costruzioni narrative di una vicenda sfumata, poco nitida, puntellata da due personaggi, Amanda e Raffaele, che si identificano perfettamente in burattini stereotipati travolti da vizi giovanili.
Una gioventù rubata, un Paese che è il regno del caos, e un omicidio. Che nessuno sembra più ricordare.
Stiamo ancora parlando dell’omicidio di Meredith Kercher?
Il mio pensiero va a Meredith Kercher, una ragazza bellissima di origine inglese, di cui nessuno, tristemente, parla più.
Esattamente come ai suoi genitori, coraggiosi, tanto coraggiosi, anche solo per aver creduto, per un breve periodo, nella giustizia italiana.
Elisa Bellino