Fin dalle prime immagini mostrate si aveva la sensazione che Doctor Strange fosse una svolta per i Marvel Studios. La presenza come protagonista di Benedict Cumberbatch, uno dei migliori attori della sua generazione, è solo una delle ragioni. La pellicola ha subito colpito per il caratteristico impianto visivo e per l’introduzione di nuovi elementi narrativi. Il misticismo e la magia, infatti, sono fattori essenziali del film che porteranno la Marvel in una nuove fase del suo universo composito.
Doctor Stange è un film ambizioso. Vuole innovare il genere dei cinecomics sotto tutti i punti di vista: narrativo, stilistico e contenutistico. Il regista Scott Derrikson (The Exorcism of Emily Rose, Sinister) ci riesce in buona parte. Dà vita, infatti, ad un’opera che si differenzia dalle precedenti, rimanendo comunque un film di origini abbastanza canonico. La struttura, le dinamiche protagonista-mentore-antagonista, la comicità e l’azione sono tipicamente marveliane, ma in una salsa “new age” abbastanza originale.
Chi è il Doctor Strange
Il personaggio interpretato da Cumberbatch si presenta come un supereroe già all’inizio del film. Sulla falsariga di Sherlock (il personaggio che ha consacrato l’attore al grande pubblico), il dottor Stephen Strange è un uomo a dir poco eccezionale. Chirurgo dalle enormi capacità, è dotato di una mente brillante e di una memoria eidetica. Proprio come altri personaggi celebri (lo stesso Sherlock e Sheldon di Big Bang Theory), le sue capacità lo portano a provare un enorme complesso di superiorità nei confronti delle persone che lo circondano. Geniale e insopportabile, affascinante e fastidiosamente respingente. Niente di nuovo, neanche in casa Marvel (Tony Stark alias Iron Man vi dice qualcosa?), eppure l’interpretazione di Cumberbatch riesce ad essere terribilmente convincente.
Il ruolo sembra essergli cucito addosso, risultando credibile in entrambe le vesti: chirurgo e stregone. Sì, stregone! Perché l’eccessiva sicurezza di Strange lo porterà a scontrarsi con una tragedia personale. Da qui il desiderio di andare oltre il mondo fisico che tanto ben conosce, avventurandosi nei luoghi sconosciuti della spiritualità. Compie un viaggio in Nepal, in un mondo dominato dalla magia. Stephen Strange scopre così di avere un talento mistico sorprendente che lo porterà a sconfinare in luoghi inimmaginabili.
Pregi e difetti
Il film è sicuramente sopra la media dei cinecomics a cui siamo abituati. Ha, infatti, un carattere proprio che lo fa emergere dalla massa degli altri film di supereroi. Possiede un impianto visivo e stilistico visionario, che si ispira in alcune sequenze ad Inception. Da Nolan e dal suo Batman Begins ha derivato anche la struttura narrativa, che però risulta sbilanciata. Una prima parte lunga e riflessiva ha portato ad un eccessivo sveltimento della seconda parte. La sequenza, in particolare, in cui il dottore prende confidenza con i suoi poteri è decisamente troppo frettolosa. Un film di origini deve sapere curare queste dinamiche, spiegando con minuzia la crescita del protagonista. Qui, invece, Strange impara di punto in bianco a controllare poteri estremamente complessi. Lo stregone che gli amanti del fumetto conoscono compare di colpo, senza un’adeguata preparazione.
Questo è uno dei pochi difetti di un film che può vantare degli effetti digitali di prim’ordine e delle interpretazioni di buon livello. I personaggi di contorno, forse poco caratterizzati, vengono valorizzati dalle buone capacità degli interpreti. Bene soprattutto Tilda Swinton, Rachel McAdams e Mads Mikkelsen, antagonista canonico ma di buona presenza.
In sostanza Doctor Strange è un cinecomics assolutamente consigliato. Non avrà la brillantezza di un Guardiani della Galassia, ma è sicuramente una boccata d’aria fresca per il genere. Con questo tassello la Marvel Studios porta avanti quel ricambio generazionale che si completerà con gli ultimi due film sugli Avengers.
Nuovi supereroi, nuovi poteri, nuovi antagonisti, nuovi mondi. Doctor Strange è la conferma che la Marvel ha ancora tante frecce al suo arco.
articolo di Carlo D’Acquisto