DNA non codificante: non chiamatelo più DNA spazzatura

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DNA spazzatura? Che questo sprezzante soprannome affibbiato al DNA non codificante  fosse frettoloso lo si era capito da anni, ora una nuova ricerca condotta da ricercatori dell’Università di Lund e pubblicata su Cell Stem Cell rivela che addirittura bisogna ricercare in esso ciò che ci rende superiori agli altri animali e in particolare ai nostri cugini prossimi scimpanzé.
Facciamo un passo indietro, tra gli anni ’60 e ’70 (ricordiamo che la scoperta del DNA ad opera di James Watson e Francis Crick risale al 1953)  gli scienziati si accorsero che in tutti gli animali c’erano sequenze del DNA che non codificavano proteine e per cui non sembrava possibile identificare una funzione. Dunque qualcuno iniziò a parlare di “junk DNA”, il termine fu formalizzato da uno scienziato giapponese-americano di nome Susumu Ohno che teorizzò come il genoma dei mammiferi non potesse avere più di un certo numero di geni codificanti perché superato tale limite si osservava un tale calo nella buona salute del DNA da portare all’estinzione. La sua previsione in realtà rimane corretta, il genoma umano contiene all’incirca 20000 geni codificanti. Sapete in percentuale a quanto ammonta? Meno del 2%. In altre parole il 98% del DNA umano è DNA non codificante, che questo lo rendesse DNA spazzatura è però stato oggetto di acceso dibattito praticamente fin dall’inizio. Nel corso degli anni si sono scoperte varie funzioni regolatorie svolte dal DNA non codificante, ma ora con la scoperta effettuata dal team guidato  da Johan Jakobsson, professore di neuroscienze all’Università di Lund, facciamo un salto di qualità, un cambio di paradigma addirittura, vediamo perché.
Malgrado quanto detto sulla convinzione abbastanza precoce da parte degli scienziati che il DNA non codificante potesse davvero essere DNA spazzatura, cioè che non potesse essere completamente inutile, le risposte importanti venivano invariabilmente cercate nel DNA codificante.
Nello specifico Hakobsson era interessato a capire cosa ci differenzia dai nostri cugini prossimi scimpanzé, condividiamo con loro la maggior parte del genoma eppure il nostro cervello ha avuto uno sviluppo evolutivo che ci ha portati a sviluppare una civiltà complessa e la moderna tecnologia. La ricerca è stata resa possibile dalla scoperta che nel 2012 fruttò il Nobel a Shinya Yamanaka, cioè che le cellule staminali possono essere fatte sviluppare in qualsiasi cellula del corpo, quindi è stato possibile studiare cellule del cervello umano e degli scimpanzé senza ripercussioni etiche.
Purtroppo (o forse per fortuna, visto che una volta un fisico disse: “io sono contento quando scopriamo che non comprendiamo l’universo, finché ci sono cose da capire ho un lavoro”) Hakobsson e collaboratori hanno scoperto che con ogni probabilità la differenza non risiede nel 2% di DNA codificante ma è celata nel restante 98%.  Se da un lato l’applicazione della nuova tecnica apre promettenti prospettive alla ricerca, dall’altro quanto scoperto potrebbe voler dire che i ricercatori devono iniziare a cercare le risposte nel 100% del DNA, un compito immane.

Roberto Todini

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