Il divorzio da Ukip del Movimento 5 Stelle in UE: la svolta liberale

Il M5S si avvicina ad ALDE

Definito “illogico” da Farage, “dalle barricate alle poltrone” da Salvini, “mobilitazione delle folle del web come Benito” dalla Serrachiani: la svolta liberale, perché di questo si tratta, del Movimento 5 Stelle in UE non è passata inosservata.

Certo, si tratterebbe di un cambiamento epocale nonché di un dirottamento politico notevole per il partito italiano, che da euroscettico passerebbe a stringere un’alleanza con il partito più europeista presente all’interno del Parlamento Europeo.

Ma prima di tirar fuori ulteriori commenti e considerazioni, occupiamoci brevemente di quanto è accaduto.

In principio

In principio il Movimento 5 Stelle, registrato il 18 dicembre 2012, nasce come organizzazione politica, “libera associazione di cittadini”, di orientamento né di destra né di sinistra.

Nasce nel contesto del Movimento Occupy piuttosto che di quello degli Indignados, con cui condivide la critica strutturale e sostanziale del sistema.

Lavora pertanto in questa direzione sia dal punto di vista della politica interna che di quella estera, con la differenza che se in politica interna la vicinanza politica per i temi portati avanti è più all’ala radicale, in UE il Movimento 5 Stelle si avvicina all’asse euroscettica di destra dell’Europa della Libertà e della Democrazia diretta – EFDD.

Fonte: http://thebackbencher.co.uk/nigel-farage-bottle-newark/

È l’euroscetticismo, di fatto, uno dei capi saldi su cui il Movimento fonda la sua ideologia, battezzato dall’incontro il 28 maggio 2014 con il leader dell’UKIP, il partito euroscettico britannico che ha promosso il Leave per il referendum sulla Brexit, Nigel Farage.

Da lì in poi, inizia il percorso all’interno del Parlamento europeo che vede David Borrelli, deputato del Movimento 5 Stelle, co – presidente insieme a Nigel Farage del gruppo parlamentare EFDD, Europa della Libertà e della Democrazia Diretta.

Nel novembre 2014 il Movimento 5 Stelle inizia poi una raccolta di firme per l’indizione di un referendum consultivo sull’uscita o meno dell’Italia dall’Euro.

In occasione del Referendum sulla Brexit, il 20 maggio scorso, viene pubblicato un articolo che, a riconferma dell’euroscetticismo, al punto 10 recita:

“In Italia non si tiene un referendum sull’Europa dal 1989, ed i cittadini dovrebbero poter esprimere la loro opinione, senza dover sempre subire decisioni calate dall’alto. In ogni caso il Governo italiano dovrebbe negoziare con Bruxelles condizioni favorevoli alla sua permanenza in UE su una molteplicità di fattori che attualmente premiano solo ed esclusivamente i Paesi del Nord Europa. Ovviamente questo sarà possibile una volta che il nostro Paese si sarà liberato dal cappio della moneta unica che, in quanto Paese debitore, lo mette in condizioni svantaggiate in un processo di negoziazione. Il rischio di fare la fine di Tsipras sarebbe altissimo.”

Il punto è stato recentemente modificato, il che ha scatenato non poche critiche. La “correzione” assume infatti la forma di un escamotage, se non furbata vera e propria, per giustificare la svolta liberale.

Un modo per non essere additati come incoerenti sostanzialmente.

L’alleanza con Farage in ogni caso, a livello europeo, è stata ampiamente criticata, e non per l’ideologia di base, ma per la distanza programmatica in tanti temi, tra cui quello ambientale.

Basti pensare alla posizione presa dal Movimento durante il Referendum del 17 aprile scorso sulle trivellazioni.

E nel frattempo?

Allontanando lo sguardo dall’Italia, e concentrandoci più in Europa, nel frattempo il Referendum sulla Brexit ha decretato la vittoria del Leave.

Tuttavia, insieme alla decisione di uscire dall’UE, del popolo britannico, si è avuto modo di assistere a quegli effetti negativi di medio periodo ritortisi contro il Regno Unito.

Dalla chiusura dei ristoranti alla svalutazione della sterlina, dall’aumento delle tariffe dei mezzi al maggioramento dei costi di importazione, dall’aumento delle spese aziendali a un incremento dell’inflazione conseguente.

L’economia inglese pare sostanzialmente stare a galla grazie alla stabilità nelle spese da parte dei consumatori, “non preoccupati dalle conseguenze della Brexit sulle proprie situazioni economiche”, come spiega Fernando Giugliano.

In tutto ciò, al contempo Nigel Farage si dimette da leader di Ukip, rimanendo tuttavia all’interno del Parlamento Europeo.

Dichiara pubblicamente “il mio obiettivo politico era la Brexit”, anche se per i più il gesto assume la forma di un abbandono della nave prima del naufragio.

C’è da dire tuttavia che, ad oggi, il Regno Unito, non ha ancora nemmeno avviato le procedure per l’uscita dall’UE, rispetto al quale dovrà anche esprimersi, dopo il ricorso dell’imprenditrice Gina Miller, il parlamento britannico.

E in Italia?

Tralasciando la contrapposizione e il rifiuto di qualsivoglia alleanza, a tratti malsano per il funzionamento istituzionale italiano, anche in politica interna si è avvertito un parziale dirottamento programmatico nelle posizioni del Movimento 5 Stelle.

Fonte: http://www.termometropolitico.it/1240752_m5s-alde-parlamento-europeo.html

Si è abbandonato lo Statuto e realizzato un nuovo regolamento, che apre le porte a una struttura gerarchica.

Il direttorio viene sostituito da un collegio, volto a “individuare e giudicare coloro i quali non rispettano le regole del Movimento”.

Il “tesseramento” avviene tramite blog ed è il “capo politico”, alias Beppe Grillo, ad autorizzarne o meno l’ingresso.

Gli ultimi avvenimenti politici, e il caos romano in primo luogo, hanno portato anche a fare un passo indietro rispetto alla “recriminabilità politica” dell’avviso di garanzia.

La svolta liberale

Arriviamo così alla proposta, accettata dal 78,5% dei votanti online, di allineamento del Movimento 5 Stelle ad ALDE, l’Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa.

L’eurogruppo è capeggiato da Guy Verhofstadt, tra l’altro candidato alla presidenza del Parlamento Europeo, personalità che tuttavia il movimento aveva a più riprese criticato.

Fonte: http://www.beppegrillo.it/movimento/parlamentoeuropeo/2015/07/gli-impresentabili-a-3.html

Dal reddito, ai supposti interessi economici, fino ad arrivare al consenso sul TTIP. Delle critiche lineari ai capisaldi ideologici del Movimento, ma che tuttavia lasciano interdetti rispetto all’attuale consenso all’ala liberale.

Grillo, intanto, parla di scelta funzionale all’avere un ruolo politico da ago della bilancia in Parlamento Europeo, “per contrastare l’establishment”.

La condivisione di valori comuni citata è poi poco chiara, ma risulta fondamentale il passaggio a Movimento che vuole sì cambiare l’UE, ma al suo interno.

Crescono tuttavia le critiche interne che non fanno che aumentare quel caos determinato anche dalle vicende italiane, specie giudiziarie, nel Movimento 5 Stelle.

Esternamente, intanto, non mancano le denunce rispetto al cambiamento del gruppo parlamentare in ragione dei contributi derivanti.

Senza l’appartenenza a un gruppo, infatti, il Movimento 5 Stelle non avrebbe diritto ai 700mila euro di contributi.

Buona fede, compromesso o riscoperto amore per la poltrona? Non ci rimane che stare a guardare.

 

Di Ilaria Piromalli

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