Le nuove misure introdotte dal governo di Viktor Orbán segnano un ulteriore passo verso un modello politico che suscita forte preoccupazione dentro e fuori i confini nazionali. I divieti per i raduni LGBTQ+ sono ora sanciti dalla Costituzione ungherese, consolidando legalmente una serie di restrizioni già anticipate nei mesi scorsi. I divieti per i raduni LGBTQ+ non sono solo simbolici: introducono anche strumenti tecnologici di sorveglianza per identificarne i partecipanti.
Le ONG denunciano divieti per i raduni LGBTQ+ come strumento autoritario
La modifica costituzionale, approvata con 140 voti favorevoli e 21 contrari, si inserisce in un contesto in cui la libertà di espressione e i diritti civili sembrano progressivamente ostacolati. Promossa dal partito Fidesz e sostenuta dal primo ministro Orbán, la nuova normativa vieta esplicitamente le manifestazioni pubbliche della comunità LGBTQ+, fornendo alle autorità la possibilità di usare software di riconoscimento facciale per monitorare i cittadini.
Secondo il governo, questa iniziativa avrebbe lo scopo di tutelare lo sviluppo fisico, mentale e morale dei minori. Tuttavia, per numerose organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International e il Comitato Helsinki ungherese, si tratta di una strategia per alimentare un clima di paura e censura. Le ONG denunciano che il vero obiettivo è ridurre al silenzio le voci critiche, consolidando il potere politico attraverso la repressione.
Orbán accelera sulla repressione delle libertà
Un altro elemento centrale dell’emendamento riguarda il riconoscimento legale esclusivo del sesso maschile e femminile, negando di fatto l’identità di genere delle persone transgender e non binarie. Questa misura apre la strada a politiche ancora più restrittive e discriminatorie, privando molte persone della possibilità di vivere liberamente secondo la propria identità.
Ma le implicazioni non si fermano qui. In un clima sempre più segnato da sospetti di “interferenze straniere”, il governo ungherese ha anche introdotto la possibilità di sospendere temporaneamente la cittadinanza ai cittadini con doppia nazionalità che vengano ritenuti una minaccia alla sicurezza o alla sovranità del Paese. Una misura che colpisce in particolare chi ha cittadinanze di Paesi non membri dell’Unione Europea, e che potrebbe essere usata per reprimere ulteriormente l’opposizione politica.
Il partito di opposizione Momentum ha paragonato queste mosse alla linea autoritaria adottata dalla Russia, definendo la nuova normativa un attacco diretto alle libertà fondamentali. In segno di protesta, attivisti e deputati dell’opposizione hanno tentato di bloccare fisicamente l’ingresso al Parlamento prima del voto, ma sono stati allontanati dalla polizia.
Nel frattempo, la società civile non resta a guardare. Manifestazioni spontanee e cortei stanno attraversando le strade di Budapest e di altre città, con migliaia di cittadini che si uniscono per difendere la democrazia e i diritti fondamentali. Lo slogan più gridato è semplice ma potente: “L’assemblea è un diritto fondamentale”.
Anche il panorama internazionale ha reagito con preoccupazione. Ventidue ambasciate europee, tra cui quelle del Regno Unito, Francia e Germania, hanno firmato una dichiarazione congiunta esprimendo timori per la libertà di espressione e di associazione in Ungheria. L’Unione Europea ha ricevuto appelli da varie organizzazioni affinché avvii una procedura d’infrazione contro Budapest per violazione dei valori fondamentali dell’UE.
Nonostante il clima repressivo, gli organizzatori del Budapest Pride hanno annunciato che la marcia del 28 giugno si terrà comunque. “Questa non è protezione dell’infanzia, è fascismo”, hanno dichiarato, sottolineando che la battaglia per i diritti non può essere fermata da una legge.
Questo emendamento costituzionale è il quindicesimo dal 2011, anno in cui la Costituzione fu riscritta su misura dal governo Orbán. La sua approvazione non rappresenta solo una minaccia ai diritti LGBTQ+, ma anche un segnale d’allarme per chiunque creda nella democrazia. Le recenti dichiarazioni di Orbán, intrise di retorica complottista, mirano a demonizzare organizzazioni civili, giornalisti e attivisti, etichettandoli come agenti stranieri.
Il contesto politico si fa sempre più teso in vista delle prossime elezioni, e secondo molti analisti, queste leggi servono a galvanizzare l’elettorato conservatore, utilizzando le minoranze come capri espiatori. Ma l’opposizione cresce, dentro e fuori l’Ungheria. E la lotta per i diritti, a dispetto dei divieti, continua.