Dittatura in Zimbabwe: pena di morte per i non patriottici

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Zimbabwe: il Parlamento aumenta le tasse elettorali

La “legge patriottica” del Presidente Emmerson Mnandagwa pone definitivamente la dittatura in Zimbabwe: per chi non difende l’interesse nazionale, è prevista la morte

Dopo la deposizione del dittatore Robert Mugabe – avvenuta nel 2017 per mezzo di un golpe militare guidato dall’attuale Presidente, Emmerson Mnandagwa – lo Zimbabwe sperava di essersi lasciato allo spalle repressione e violenza.
Ma, in punto di morte, il “padre della Patria” Mugabe aveva giurato che il suo fantasma avrebbe perseguitato per sempre il Paese. E gli ultimi sviluppi politici sembrano confermarlo.

Dopo l’imposizione una tassa altissima per candidarsi alle elezioni, infatti, Mnandagwa ha stabilito una legge in difesa dell’interesse nazionale, che prevede persino la pena di morte.

Dittatura in Zimbabwe: la soffocante legge patriottica

Lo Zimbabwe, oggi, si trova in una situazione molto difficile: possiede uno dei più alti tassi di inflazione al mondo, soffre di interruzioni di corrente paralizzanti, e la moneta è fortemente instabile.
Inoltre, il Paese è schiacciato dalla repressione del governo di Mnandagwa.

Il suo partito, Zanu-PF, è al potere dall’indipendenza dello Zimbabwe nel 1980.
Gli attivisti per i diritti umani hanno più volte accusato il partito di utilizzare violenza, intimidazione, oscuramento dei media statali e copertura negativa dell’opposizione. Le accuse di corruzione sono frequenti, ma i procedimenti giudiziari verso i membri del governo sono molto rari.
Nel corso degli ultimi due anni, inoltre, si sono intensificate le condanne verso esponenti dell’opposizione e di critici del governo.

Adesso, con la nuova “legge patriottica“, Mnandagwa ha deciso di punire chiunque “danneggi deliberatamente la sovranità e l’interesse nazionale”.
Ciò comprende chiunque incontri “agenti, delegati o entità di un Paese straniero, i quali l’imputato sapeva, o aveva motivo di credere, che agissero per conto del governo straniero contro lo Zimbabwe“.
Non è chiaro come possa essere provata tale relazione con un governo straniero, o come possa l’imputato supporre che la persona incontrata stesse agendo per conto di un governo ostile.
Inoltre, i termini “sovranità” e “interesse nazionale” sono aperti a diverse interpretazioni.

Secondo il parlamentare Joseph Chinotimba, questa legge mira solamente a incoraggiare i cittadini ad amare il proprio Paese.

Questo disegno di legge non ha lo scopo di limitare l’esistenza dei partiti politici, ma è lì per incoraggiare il popolo dello Zimbabwe ad amare il proprio Paese e smettere di denunciarlo

Non la pensano così membri dell’opposizione, giornalisti e attivisti, i quali parlano di “morte della libertà di parola” e di legge “draconiana” pensata per soffocare il dissenso in vista delle elezioni.




Lo scorso venerdì, la Media Alliance of Zimbabwe (MAZ) e la giornalista Zenzele Ndebele hanno fatto ricorso all’Alta corte, affermando che la legge è “imprecisa, vaga e incostituzionale“. E rischia di trascinare lo Zimbabwe in una profonda dittatura.

La legge è formulata in modo ampio, costituendo un alto potenziale di abuso e portando al silenzio qualsiasi voce dissenziente.
Invade l’area delle libertà costituzionalmente protette, in particolare la libertà di espressione, la libertà di riunione e associazione e il diritto alla privacy.

Di conseguenza, è ingiusta, irragionevole, non necessaria e non giustificabile in una società democratica basata sull’apertura, la giustizia, la dignità umana, l’uguaglianza e la libertà

Elezioni in Zimbabwe: brogli e violenze

Il 23 agosto, i cittadini saranno chiamati alle urne per eleggere consiglieri, membri del Parlamento e il Presidente.
I 12 candidati alla presidenza, per partecipare alle elezioni, hanno dovuto versare una tassa di 20.000 dollari. 19mila in più rispetto alle scorse elezioni, dove si era presentato quasi il doppio dei candidati.
Il posto, comunque, è conteso tra due volti principali: quello dell’attuale Presidente Mnandagwa, leader del partito Zanu-PF; e quello di Nelson Chamisa, che guida il partito di opposizione Citizen’s Coalition for Change (CCC).

Mnandagwa e Chamisa si sono già scontrati nel 2018.
La vittoria spettò allo Zanu-PF, ma le elezioni furono contestate legalmente da Chamisa.
Il giorno dello scrutinio, infatti, fu segnato dalla violenta repressione delle manifestazioni da parte delle forze dell’ordine, che uccisero sei persone.
Intervenne persino l’UE, la quale confermò che i risultati finali delle elezioni contenevano errori e gravi carenze.
Tuttavia, l’opposizione non riuscì a ottenere l’annullamento delle elezioni.

Ora si attendono i risultati delle prossime elezioni, che vedono lo Zanu-PF avvantaggiato dal sostegno delle aree rurali e dal più ampio accesso alle risorse statali. Il CCC, invece, conta sugli abitanti delle aree urbane e soprattutto sui giovani, stanchi di vivere sotto dittatura.

Giulia Calvani

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