Quali sono i processi psico-sociali alla base delle disuguaglianze? Chiara Volpato ne parla in “Le radici psicologiche della disuguaglianza”.
Le tematiche e le corporeità delle disuguaglianze oggi permeano ogni strato e luogo della società e sono alla base di molte delle problematiche che investono i rapporti tra le persone. Di fronte alle crisi scatenate dalle conseguenze di questo fattore, sembra sempre più difficile pensare che possa essere l’unione a fare la forza. Accade spesso che si scelga di perseguire l’interesse personale rispetto al bene comune, amplificando così il divario tra le disuguaglianze invece di colmarlo.
“Le radici psicologiche della disuguaglianza”, pubblicato nel 2019 da Laterza, prende corpo proprio a partire dall’analisi dei meccanismi, delle spinte e delle dinamiche psicologiche e sociali che fondano e nutrono le disuguaglianze. Si tratta di un testo animato da “un’arrabbiatura nei confronti delle ingiustizie che va al di là del tempo”; uno studio dall’approccio multidimensionale che fa uso di una vasta componente di prospettive e di analisi svolte sul campo.
L’autrice è Chiara Volpato, professoressa ordinaria presso il Dipartimento di psicologia dell’Università degli Studi Milano-Bicocca. Il suo lavoro di ricerca si muove su tematiche inerenti alle relazioni tra i gruppi, come la disuguaglianza, la deumanizzazione, il pregiudizio e il sessismo. Come raccontato dalla professoressa nell’intervista dedicata al testo, le disuguaglianze economiche e sociali sono da anni in crescita in tutte le società occidentali. La psicologia sociale si è dedicata poco a questo tipo di problematiche. Tuttavia, a causa di eventi quali per esempio la grande recessione del 2008 l’attenzione nei loro confronti è cresciuta.
Le disuguaglianze come costrutti psicosociali
La ricerca di Chiara Volpato oscilla tra una trattazione specialistica e una divulgativa e mai quanto oggi può dare molto alla società. Il mio interesse personale nei suoi confronti è nato dalla stessa spinta che negli anni ho investito nella filosofia: sviscerare e comprendere le motivazioni, i pensieri e i modi in cui questi influiscono sulle relazioni tra le persone. Infatti, il saggio fa luce sui modi in cui le disuguaglianze vengono naturalizzate, analizzandone l’impatto e aprendo così nuove ed efficaci chiavi di lettura della realtà. Come racconta l’autrice, in genere sono discipline quali la sociologia e l’economia a studiare i divari economici, ma oggi è necessario il concorso di saperi diversi. La psicologia può tentare di dare risposte alle questioni aperte dalla crescita delle disuguaglianze e sul perché le persone tendano ad accettarle più che a contrastarle.
Come racconta Chiara Volpato, per molte persone le disuguaglianze sono incarnate nella natura dell’uomo e nell’essenza della società. Tuttavia, alla base di questa convinzione risiedono dinamiche complesse che fanno capo a una vasta rete di costrizioni psicologiche e sociali. Le idee, le ideologie e lo status economico-sociale sono componenti di forte discriminazione nell’interpretazione delle disuguaglianze. Queste portano alla creazione di miti e credenze che trasformano le disparità in “processi naturali”. In questo modo operano nel mantenimento delle gerarchie, influendo sulla percezione della possibilità o dell’impossibilità di cambiare lo status quo.
Tra dominanti e dominati: le classi sociali
Oggi la retorica dominante proclama che le classi sociali non esistono più. Si tratta di una definizione per lungo tempo abusata che oggi è per certi aspetti obsoleta. Tuttavia, che ci siano delle differenze socio-economiche tra le persone è evidente. Per questo motivo, Chiara Volpato spiega come questa sia una convinzione sbagliata che fa comodo solo ad alcune fasce di popolazione.
L’unica ad aver conservato una precisa coscienza di sé sembra essere la classe dei grandi ricchi. Ancora oggi questa è caratterizzata da confini precisi e si fa promotrice di narrazioni specifiche che trasformano la dominanza in prestigio. La conseguenza è il passaggio da una dominazione primariamente economica a una simbolica. Infatti è proprio questo a spingere dominanti e dominati a interiorizzare le ragioni che fanno delle classi più abbienti ciò che sono. Come scrive l’autrice,
la cultura del privilegio tende, per sua natura, a normalizzare la disuguaglianza, cancellandone l’origine storica e facendola percepire come naturale, scontata, ineliminabile. […] Di conseguenza, i privilegiati si convincono di incarnare la norma e diventano inconsapevoli di ciò che sta al di fuori dei loro schemi e di cui non hanno esperienza diretta.
Le radici psicologiche delle disuguaglianze
Uno degli spunti più sconvolgenti del testo è la rilevanza che la corrispondenza tra posizione sociale e caratteristiche personali ha nel mantenimento delle disuguaglianze. Come scrive l’autrice, “si tende a pensare che intelligenza e ambizione siano determinanti nel raggiungimento di uno status socio-economico elevato e che, quindi, i privilegi di classe siano meritati ”. Tuttavia, la ricerca mostra come la povertà sia un prodotto della disuguaglianza e del suo impatto sulla psicologia delle persone.
La società occidentale è caratterizzata da valori di successo e competizione che sorreggono l’ideologia meritocratica dominante. La sua retorica è ormai interiorizzata e messa in atto in base alle disponibilità. Infatti, chi appartiene a classi sociali privilegiate tende a utilizzarla per difendere la responsabilità personale dei successi acquisiti. Diversamente, chi non accetta, non è alla pari o non ha successo, interiorizza la perdita attribuendola a se stesso e subendo il peso di una responsabilità che in realtà è sociale. Esemplificativo è il sentimento di sconfitta e di invidia che coinvolge chi è in situazione di difficoltà e che occulta la possibilità di sviluppare senso di empatia e collaborazione con chi è nella stessa situazione. Si tratta di una forma di “divide et impera” sostenuta da un individualismo che annulla la collaborazione sociale necessaria a trovare soluzioni collettive, impedendo così la possibilità di un reale cambiamento.
Chiara Volpato su Sanremo
Citando come esempio il mito del garage, nell’intervista Chiara Volpato spiega come l’ideologia meritocratica sia sponsorizzata anche dai Mass media. Tra gli eventi mediatici degli ultimi giorni spicca Sanremo. Pur non avendo seguito il festival, la professoressa ha affermato di aver ricevuto domande sull’eventualità di un legame tra le riflessioni del suo testo e uno degli interventi di Chiara Ferragni. Chiara Volpato conferma che il monologo dell’influencer ha rispecchiato un tipo di retorica meritocratica promossa in genere da chi proviene da una classe benestante. Nello specifico, il riferimento è all’autoreferenzialità di Chiara Ferragni che cancella figure inevitabilmente importanti, come la famiglia o chiunque abbia potuto aiutarla nel lavoro, e lo sfondo economico-sociale che le ha consentito di raggiungere il successo.
Come spiega la professoressa, l’ideologia meritocratica è legata alle dottrine neoliberali diventate egemoniche a partire dagli anni Ottanta. Queste hanno instillato valori individualistici che spingono a pensarsi come “imprenditori di sé ”. Per questo motivo, quello di Chiara Ferragni sembra un tipico atteggiamento di “coloro che si reputano vincenti e attribuiscono il successo solo a se stessi ”. Anche se secondo molti l’imprenditrice si è costruita da sé, la totale omissione del contesto in cui questo sia accaduto è un esempio lampante di un certo uso della retorica meritocratica entro un tipo di successo basato primariamente su orizzonti consumistici.
Meritocrazia: tra cultura e mondo del lavoro
Come spiega la professoressa, non ci sarebbe nulla di sbagliato nella meritocrazia in sé. Il problema è che si tratta di un gioco “sempre truccato” in cui i partecipanti non partono dalla stessa posizione. Questa dinamica è evidente nel mondo della cultura tanto quanto in quello del lavoro. Rispetto ai meno avvantaggiati, chi parte da una condizione benestante ha spesso maggiori possibilità di investire in capitale culturale con cui acquisire nuovo capitale economico. Il boom economico degli anni Sessanta ha portato in Italia un aumento della mobilità sociale. Questo ha consentito anche ai figli di famiglie poco abbienti di avere accesso alla cultura. L’idea di questa possibilità è oggi ancora intatta anche se la situazione economica generale è radicalmente cambiata.
Queste convinzioni si intrecciano con la retorica meritocratica, portando chi cerca di recuperare capitale economico dal capitale culturale acquisito con sforzo a scontrarsi maggiormente con il mondo del lavoro, anche in quanto estraneo alla rete di accessi che invece in genere possiede chi proviene da classi più avvantaggiate. Un altro esempio lo troviamo in ambito culturale. Si tratta del caso dei “first generation”, gli studenti che per primi nelle loro famiglie riescono a frequentare l’università. Chiara Volpato racconta del senso di inadeguatezza e di insicurezza che questi provano nel doversi adeguare a norme dettate da chi parte da un capitale economico-culturale avvantaggiato, senza la possibilità di metterle in dubbio.
Una “call to action” per la consapevolezza
Il libro di Chiara Volpato è sempre più attuale in un mondo in cui la disuguaglianza è in continuo aumento. Le conseguenze emergono dalle dinamiche che coinvolgono le persone ogni giorno, da forme di sessismo, razzismo e classismo, al mantenimento delle gerarchie prestabilite. Tuttavia, queste costruzioni ideologiche cominciano a presentare delle incrinature. Secondo l’autrice, il fenomeno delle grandi dimissioni dell’ultimo periodo ne è un esempio. Il fatto che così tante persone non accettino più di avere lavori insoddisfacenti è un segnale inconsapevole di maggiore riflessività e minore passività nei confronti delle dinamiche dettate dall’ideologia meritocratica.
La ricerca della professoressa invoca una chiamata all’azione a cui ognuno può prendere parte attraverso l’acquisizione e la diffusione di consapevolezza su queste tematiche. Questo per tendere alla creazione di un pensiero nuovo e diverso che porti a una società in cui tutti possano avere un posto soddisfacente. Un’opposizione all’individualismo che promuova le ragioni della comunità per tendere a un reale smantellamento dei meccanismi psico-sociali che nutrono le disuguaglianze.