La disuguaglianza di genere in 10 statistiche

disuguaglianza di genere

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10 statistiche sugli aspetti più disparati, dai più frivoli ai più importanti, per dimostrare come la strada per abbattere la disuguaglianza di genere sia ancora molto, molto impervia.

Il mese di novembre, contro la violenza sulle donne, ci obbliga a una riflessione in generale sul tema della discriminazione. Da qui infatti passano tutte le pratiche, giustificate, tollerate e spesso non percepite nel loro disvalore, con cui molti popoli hanno cresciuto le loro figlie e hanno permesso che la disuguaglianza di genere si sedimentasse nella nostra società e nelle nostre coscienze.

Quando si mette mano alle statistiche sulla disuguaglianza di genere, si ha l’imbarazzo della scelta per scegliere quali siano i dati più simbolici e rappresentativi che dimostrino quanta strada ci sia ancora da fare verso l’obiettivo dell’equità. Nelle varie zone del mondo, ci sono enormi differenze nei tipi di disuguaglianza che ogni donna affronta ogni giorno: dalla giustificazione della violenza, al matrimonio infantile, fino alle rappresentazioni culturali afferenti all’ambito lavorativo, al ruolo famigliare, all’istruzione. Insomma, this is a man’s world. Ecco qui 10 tra le più disparate statistiche che, ancora una volta, ce lo dimostrano in vari modi, dagli aspetti più banali a quelli più importanti della vita di ogni giorno.




1. Ci vorranno ancora 108 anni per colmare la disuguaglianza di genere

Secondo il Global Gender Gap del 2018 pubblicato dal World Economic Forum, dalla prima rilevazione del 2006, il gender gap (cioè il divario tra condizione maschile e femminile) si è ridotto del 3,6%. Il 38% dei Paesi in cui l’indagine è stata condotta ha visto addirittura un allargamento della forbice, quindi un peggioramento della condizione femminile. Di questo passo, nel 2126 vedremo l’uguaglianza di genere. Forse.

2.  Le donne hanno il 47% in più di probabilità di subire gravi lesioni in incidenti stradali

Alcuni ricercatori dell’Università della Virginia (Usa) e dell’Università di Navarra (Spagna) hanno scoperto che i poggiatesta delle automobili non tengono in considerazione le differenze di dimensioni e di forza tra i colli maschile e femminile. Da questa ricerca deriva un’amara conclusione: le donne avrebbero maggiori probabilità di essere ferite in un incidente stradale. Anche i collaudi e i test di sicurezza, quindi, vengono svolti dagli uomini per gli uomini. La ricerca si basa su una raccolta dati lunga un decennio relativa a incidenti degli Stati Uniti. Con le cinture di sicurezza correttamente allacciate, le donne hanno riportato il 47% in più di lesioni gravi rispetto agli uomini, in eventi comparabili.

3. Ogni anno, nel mondo, ci sono 12 milioni di spose bambine

Secondo una ricerca di Save The Children del 2018,  12 milioni di bambine nel mondo, ogni anno, si sposano prima di aver compiuto i 18 anni. Se i matrimoni precoci proseguiranno ai ritmi attuali, prima del 2030  saranno 134 milioni le minorenni che si sposeranno. Secondo Save the Children c’è una correlazione diretta tra matrimoni precoci e istruzione:  i matrimoni delle bambine sono una delle cause principali dell’abbandono scolastico nei paesi più poveri. Allo stesso modo, le ragazze che non frequentano la scuola tendono a sposarsi precocemente. Tra i motivi principali che le spingono verso questa scelta, anche nei paesi più sviluppati, il fatto che vivano in ambienti insicuri o la pressione famigliare in merito allo stigma associato all’avere una relazione o rimanere incinta fuori dal matrimonio.

4. Il Pay Gender Gap: una donna in Italia guadagna tra i 2500 e i 9000 euro in meno di un parigrado 

Come riportato dal Sole 24 Ore,  in una ricerca recentemente condotta dalla startup Sòno, emerge come il 67% delle donne siano insoddisfatte del proprio lavoro a causa della mancanza di parità di stipendio,  rispetto a competenze e livello di istruzione equivalente. Effettivamente,  il Rapporto Oxfam afferma che, nei 28 Paesi UE, le donne hanno uno stipendio inferiore del 16% rispetto ai colleghi uomini. Praticamente, come se lavorassero due mesi senza essere retribuite. In Italia, il divario oscilla tra lo 0,5% e il 24,2%.

5.  Solo 6 paesi danno alle donne diritti di lavoro legali uguali agli uomini

Una relazione della Banca mondiale ha misurato la discriminazione di genere in 187 paesi e ha scoperto che solo Belgio, Francia, Danimarca, Lussemburgo, Lettonia e Svezia applicano le stesse norme per uomini e donne.  Questi sei paesi hanno ottenuto il massimo del punteggio negli otto aspetti presi in considerazione dalle donne per le decisioni economiche della loro carriera. Tra queste, ad esempio, ci sono il ricevere una pensione e la libertà di circolazione. Nelle altre economie, quando va bene, le donne hanno normalmente il 75% dei diritti spettanti agli uomini.

6. Per ogni donna in un film, ci sono 2,24 uomini

Aveva suscitato scalpore l’Istituto Geena Davis, che nel 2014 aveva passato in rassegna 120 uscite cinematografiche tra il 2010 e il 2013 in 10 paesi e aveva rilevato che, dei 5.799 personaggi interpretati o nominati, meno di un terzo (30,9%) erano di sesso femminile e più di un terzo (69,1%) erano di sesso maschile. Nel 2018 le cose sono leggermente cambiate, ma non di molto. I personaggi femminili coprono il 36,2%  del parlato in un film e il 39,0% del tempo complessivo (quindi è presa in considerazione anche solo l’apparizione). Interessante come i personaggi femminili abbiano una probabilità sei volte maggiore rispetto ai personaggi maschili di mostrarsi in “revealing clothes”, cioè in abiti succinti (27,3% rispetto al 4,6%). È invece più probabile che i personaggi maschili vengano mostrati in posizioni di comando rispetto ai personaggi femminili (53,6% rispetto al 46,1%). Addirittura, quindi, se paragonato alla vita reale, il grande schermo tende a sovra-rappresentare il numero di donne in posizioni dirigenziali.

7.  Nella sanità, il 70% degli addetti è donna, ma solo il 25% ha un ruolo dirigenziale

Secondo quanto rileva l’Organizzazione mondiale della sanità, le donne fanno ancora fatica ad emergere, anche nella scienza. Rappresentano solo il 12% dei membri delle accademie scientifiche nazionali di tutto il mondo. Nella sanità costituiscono il 70% della forza lavoro, ma solo il 25% occupa posizioni di leadership. Anche per quanto riguarda le retribuzioni, la disparità tra i due sessi è una costante: nel settore sanitario e sociale gli uomini guadagnano circa il 26% in più nei paesi ricchi, e il 29% in più  in quelli a reddito medio. 

8. Nelle pubblicità, le donne hanno il 48% di possibilità in più di essere presentate in cucina

Non è una novità che le donne siano rappresentate ancora in modo poco egualitario negli spot pubblicitari. Se sembrano lontane le pubblicità anni Sessanta che rappresentavano bellissime bionde dedite alla cura della casa e al marito, una ricerca presentata al Festival di Cannes ha rilevato che, nel decennio 2006-2016, solo una donna su quattro è stata presentata come una professionista in uno spot. Dallo stesso studio emerge come siano il 48% in più le donne rappresentate in cucina.

9. L’informazione in tv: solo il 33% è donna

Secondo il Monitoraggio sulla rappresentazione della figura femminile nella programmazione della RAI portato avanti dall’Osservatorio di Pavia per il 2018, i programmi di Intrattenimento, le fiction, i programmi di attualità e quelli di
servizio – con una presenza femminile pari rispettivamente al 42,3%, 41,6%, 40,4% e 38,7% – appaiono come più bilanciati e inclusivi dei programmi di approfondimento informativo (con le donne al 33,1%), dei TG, ( 31,2%). Ancora molto ampio il divario uomo/donna relativamente alle rubriche sportive. Qui la percentuale di uomini si attesta sul 85,5% contro un misero 14,5% di donne.

10. Sei donna? Al supermercato paghi il 40% in più

Anche tra le corsie del supermercato, la disuguaglianza di genere è avvertita e si fa sempre più forte man mano che ci si avvicina alle casse. Numerosi giornali internazionali, come il Times, l’Independent o il Guardian, hanno svolto inchieste sui prezzi dei negozi di alcune catene britanniche di grande distribuzione e di Amazon e ne è emerso un rincaro dei prodotti studiati appositamente “Per lei”.

Si sono presi in considerazione un centinaio di prodotti e ne è emerso che le donne pagano in media il 37% in più, con punte del 50% per alcuni prodotti. 10 rasoi usa e getta di marca Bic costano 1 sterlina, ad esempio. Una confezione da 8 rasoi femminili costano 2 sterline, invece. Le donne, quindi, pagano di più per avere meno. Una penna Bic, nella versione “per lei” costa 1 sterlina in più. I jeans Levi’s 501 fanno segnare il picco, con un prezzo più alto del 46% nella versione femminile. Da ultimo, anche gli articoli per bambini non vanno esenti. Un monopattino da bimba costa in media 13 euro in più di un equivalente maschile.

E quindi?

Queste statistiche alle donne non dicono nulla di nuovo: o, meglio, aggiungono qualcosa alle mille sfaccettature con cui ognuna lotta per l’uguaglianza sostanziale, che passa da un diritto a un salario equivalente a quello dei colleghi uomini, ma anche dalla rappresentazione cinematografica e pubblicitaria. Frivolezze? Forse. Ignorabili? Non più. Il nostro modo di esprimerci, di vederci e di raffigurarci tradisce ancora una spiccata propensione per la rinfrancante rappresentazione della donna angelo, custode del focolare. Cosa fare dunque? Educarci a un linguaggio inclusivo, che educhi anche chi ci sta intorno, potrebbe essere la soluzione. E come? Costruendo un immaginario più sfaccettato, che non cada nelle semplificazioni e negli stereotipi de “La mamma stira e il papà lavora” che troviamo ancora oggi sui libri della scuola primaria: farà bene alle bambine e ai bambini del 2020, che saranno le lavoratrici e i lavoratori, ma soprattutto le cittadine e i cittadini, dei prossimi decenni.

Elisa Ghidini

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