Disturbi alimentari: curarsi è un’odissea

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Sono circa 3 milioni le persone malate di DCA (disturbi del comportamento alimentare) in Italia. Ogni anno questi disturbi colpiscono circa 8.500 donne e uomini.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i DCA rappresentano la seconda causa di morte tra i giovani, con un indice di mortalità tra il 5 e il 12%.
La fascia di età più colpita risulta essere quella tra i 12 e i 25 anni. Circa il 30% dei malati ha però un’età superiore ai 25 anni e il 20% dei malati ha tra gli 8 e 12 anni.
Un intervento precoce e cure adeguate sono fondamentali per evitare un rapido peggioramento della malattia e una sua cronicizzazione.
L’attuale situazione italiana si presenta però non all’altezza di gestire la situazione: poche strutture, mal distribuite, con liste d’attesa infinite e spesso personale impreparato.

Trattamento di un DCA

Anoressia, bulimia e Binge Eating Disorder (ma anche ortoressia, vigoressia e altre patologie meno conosciute) richiedono cure di 3/4 anni in media.
Il trattamento dei DCA necessita strutture e personale altamente specializzati.
È necessaria la collaborazione di più figure professionali: nutrizionisti, psichiatri, psicologi. Questo per garantire la cura sia dell’aspetto clinico-nutrizionale, sia di quello psicologico-psichiatrico.

I livelli di cura

Il primo accesso alle cure è quello ambulatoriale, durante il quale viene fatta la diagnosi e l’orientamento del paziente ai successivi livelli terapeutici.
Le famiglie spesso non sanno però a chi rivolgersi e gli stessi medici di base o pediatri hanno difficoltà in questo senso.
Il secondo livello è quello di day hospital seguito da un ricovero ospedaliero.
Quest’ultimo ha solitamente funzione di salvavita. I posti letto in reparti specializzati sono però limitati. Le liste d’attesa sono di mesi e la conseguenza è un peggioramento delle condizioni del paziente e della sua motivazione alle cure. Nell’attesa è comune un ricovero in reparti psichiatrici, inadatti al tipo di malattia e spesso controproducenti.
I livelli residenziali e semiresidenziali hanno lo scopo di riabilitazione. Anche in questo caso le liste d’attesa sono spesso lunghe e questo impedisce una continuità di cure dopo la dimissione dall’ospedale.

Le strutture in Italia

Nel 2008 il Ministero della Salute e la Regione Umbria hanno raccolto in una mappa le strutture e le associazioni per DCA in Italia.
In Italia le strutture di cura sono 143, quasi tutte localizzate al nord.
Numerosi sono i malati costretti a spostarsi per curarsi.
Ogni paziente ha come riferimento l’ASL della propria città di residenza. È questa che autorizza un eventuale percorso di cura fuori regione. Il trasferimento di un paziente richiede costi elevati per l’ASL, la quale non sempre lo autorizza.
In questo caso, è possibile rivolgersi a specialisti privati, con costi esagerati e spesso non sostenibili.
Inoltre, anche nel caso in cui l’ASL consentisse il trasferimento, vanno considerati gli elevati costi per gli spostamenti, anche dei famigliari. Una forte rete di supporto al paziente, spesso molto giovane, è di grande aiuto nelle cure.
Le difficoltà per chi soffre di DCA non finiscono una volta raggiunto il ricovero.
Un altro problema è che i percorsi non si rivelano sempre all’altezza delle aspettative.
Dopo aver superato infinite liste d’attesa, i ricoveri sono spesso troppo brevi. Al termine il paziente si ritrova sballottato da un professionista all’altro.
La mancanza di un reale sostegno post ricovero rende Il rischio di una ricaduta alto.
Un DCA è un disturbo mentale che grava fortemente sulla qualità di vita di chi ne è affetto.
Il Sistema Sanitario italiano sta fallendo nell’aiutare realmente i milioni di malati. Curarsi deve essere una possibilità aperta a tutti, non solo un diritto su carta.

Giorgia Fossati

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