Il 15 marzo 2011 moriva Giulia Tavilla, vittima di una lista d’attesa e di tempi di cura troppo lunghi. Per lei è stata istituita la giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, ma anche per chi, ogni giorno, combatte contro le stesse patologie.
Partire dai dati per capire la gravità della situazione
Secondo le stime dell’Associazione Italiana Disturbi del Comportamento Alimentare e dell’Obesità (AIDCA), in Italia ci sono circa 3 milioni di persone che soffrono di disturbi alimentari, di cui il 90% sono donne e il 10% sono uomini, il 59% dei casi ha fra i 13 e i 25 anni, il 6% ha meno di 12 anni. A marzo, una nuova revisione globale pubblicata sulla rivista Jama Pediatrics e condotta dell’Universidad de Castilla-La Mancha, ha evidenziato che una persona su tre, nel nostro paese, abbia un disturbo alimentare.
Tuttavia, è importante sottolineare che questi dati non sono completamente affidabili: molte persone non cercano aiuto e si nascondono sottovalutando i propri sintomi e la propria condizione. Gli esperti concordano che – per questa ragione – i dati sono sempre sottostimati.
L’organizzazione delle strutture specializzate
I disturbi alimentari sono disturbi psicologici che influenzano la relazione degli individui con il cibo e con il proprio corpo, e causano comportamenti alimentari disordinati o estremi con conseguenze gravi sulla salute fisica e mentale.
La macrocategoria di disturbi alimentari include patologie come l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa, l’iperfagia e il disturbo da alimentazione incontrollata. I sintomi più comuni di queste patologie sono la preoccupazione eccessive per il cibo, il peso e la forma del corpo, comportamenti alimentari disordinati, perdita o acquisizione di peso significativi, eccessiva attività fisica, stati depressivi e cambiamenti dell’umore.
Per questa complessa relazione fra corpo, mente e nutrizione i servizi che si occupano di trattare i casi di disturbi alimentari devono essere strutture specializzate e in grado di seguire i pazienti a 360 gradi, sia con trattamenti psicologici, che psichiatrici, che fisici. In Italia questi servizi vengono gestiti da strutture ospedaliere specializzate, unità di terapia intensiva, centri diurni e residenziali, cliniche private e programmi ambulatoriali.
Le infinite liste d’attesa
Giulia Tavilla, la diciassettenne che ha perso la vita per colpa della bulimia era in lista d’attesa per un ricovero residenziale, l’ha uccisa il tempo impiegato per aiutare chi aveva capito di non riuscire a stare bene solo con le proprie forze. Giulia aveva capito di soffrire di bulimia, aveva imparato a dare un nome alla sua malattia e con l’aiuto di suo padre Stefano aveva accettato di essere aiutata. Questo non è bastato perché in Italia, nel 2011, le risorse impiegate nel trattamento di queste malattie erano pochissime.
In oltre dieci anni si può dire che qualcosa stia cambiando perché i governi hanno investito sempre di più, ma a seguito della pandemia i casi di disturbi alimentari sono aumentati del 30% e per le istituzioni è sempre più difficile stare al passo.
Il Ministero della Salute ha redatto, nel marzo 2022, una mappa con tutti i centri specializzati, residenziali o ambulatoriali: emerge – prima di tutto – una grande disparità fra nord e sud. La mappa contava 108 strutture su tutto il territorio nazionale, 55 centri al Nord (di cui 19 in Emilia Romagna), 18 al Centro Italia e 35 tra Sud e Isole. Nelle regioni dotate di tutti i livelli di cura il tasso di mortalità è molto più basse e questo dato sottolinea la necessità di una rete di sostegno organica e presente.
Per questo bisogna, prima di tutto, sostenere la creazione in ogni regione di strutture che forniscano il primo livello assistenziale, ovvero quello della medicina del territorio, che nel caso dei disturbi alimentari è rappresentata dalla rete ambulatoriale completa di equipe multidisciplinare ben integrata, impiegata stabilmente e che lavori in sinergia con i medici di medicina generale, con i pediatri di libera scelta e con le Associazioni di familiari.
Risulta poi una disparità fra i centri di servizio pubblico, pochissimi, e quelli privati che con costi altissimi non sono alla portata di tutti.
Un problema connesso ai dati riportati è quello delle lista d’attesa: nelle regioni dove ci sono i centri, le liste d’attesa sono di tre o sei mesi, dove invece non ci sono servizi i ragazzi non si curano.
Nuovi investimenti
Il ministero della Salute nel 2022 ha stanziato 25 milioni di euro per coloro che soffrono di disturbi alimentari. Lo ha annunciato su Twitter Roberto Speranza: «Ho appena firmato il decreto che ripartisce i fondi per il contrasto ai disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, sono 25 milioni che serviranno al recupero del benessere fisico e psicologico di chi soffre di questi disturbi. Un primo passo importante nella direzione giusta».
A dicembre del 2021 inoltre era stata approvata l’inclusione delle cure per le patologie legate all’alimentazione tra le prestazioni del Servizio sanitario nazionale. Stefano Tavilla, padre di Giulia e fondatore dell’associazione Mi Nutro di Vita a riguardo ha espresso il suo scoraggiamento:
Sono realista più che scoraggiato, tutti quelli che dovevano essere gli impegni per ampliare la risposta di queste malattie sono stati disattesi. Siamo ancora qui. Non c’è nessuna conquista.
A dicembre del 2021 è stata approvata l’inclusione delle cure per le patologie legate all’alimentazione tra le prestazioni del Servizio sanitario nazionale e proprio lui si è battuto più di tutti per l’inserimento dei Dca nei Livelli Essenziali di Assistenza delle sanità regionali. Gli esperti del settore sottolineano però che i Dipartimenti di Salute Mentale erogano con estrema difficoltà le prestazioni minime che dovrebbero essere garantite dai livelli essenziali di assistenza e operano in condizioni drammatiche.
Per questo Tavilla definisce «briciole per l’enorme entità della richiesta» i 25 milioni stanziati in due anni. Pochi fondi, pochi investimenti, spesso ostacolati dalla burocrazia e da amministrazioni incapaci di seguire l’enorme flusso di richiesta d’aiuto per quella che ormai si può definire a tutti gli effetti un’epidemia.
Ludovica Amico