In pochi anni le distopie femministe hanno conquistato il mondo della letteratura, quello della televisione e del cinema. Dal celebre “Racconto dell’ancella” di Margaret Atwood a “Vox” di Christina Dalcher, questi nuovi prodotti culturali mescolano i tratti tipici del genere distopico con tematiche femministe quali l’autonomia dei corpi e i sistemi di potere, presentando così delle società dai tratti dittatoriali e patriarcali esasperati. Quali sono le ragioni dietro la fascinazione per questo genere? E soprattutto, le distopie femministe sono in grado di promuovere le battaglie delle donne o, al contrario, le danneggiano?
Un nuovo genere letterario?
In letteratura, la distopia è considerata l’antitesi dell’utopia e, come quest’ultima, ha origini molto antiche. Spesso relegata a sotto-genere della fantascienza, la distopia ritrae un mondo particolarmente negativo, che può essere caratterizzato da un regime totalitario che assume il controllo sui propri cittadini, dall’avvento di tecnologie particolarmente spaventose o da disastri ambientali.
Gli scenari apocalittici ritratti nei romanzi distopici offrono notevoli spunti di riflessione legati ai diritti umani nella loro complessità, di cui si fanno portatori i rispettivi protagonisti grazie alla loro ribellione.
Per secoli, le distopie sono state prerogativa degli uomini ma già tra gli anni Settanta e Ottanta le donne hanno iniziato ad avvicinarsi al genere, sfruttandolo per mettere in luce la propria condizione di subalternità fino a creare quello che oggi può essere definito come un genere letterario (e cinematografico) a tutti gli effetti, con caratteri propri e ben determinati.
Tra le tematiche più note affrontate dalle distopie femministe ritroviamo: i diritti riproduttivi, il legame tra patriarcato e religione, soggettività e controllo dei corpi, le strutture di potere patriarcali, i ruoli di genere e il rapporto spesso controverso con la maternità.
Conquistando il genere distopico, le donne sono riuscite a incanalare le preoccupazioni odierne nell’immaginario di società future (ma non così lontane) ultra-pianificate, trovando così una nuova modalità per trasporre le questioni chiave del femminismo.
Il “Racconto dell’ancella” e “Vox”: due casi a confronto
Capostipite del genere è sicuramente il “Racconto dell’ancella” (The Handmaid’s Tale) della scrittrice canadese Margaret Atwood, il quale può essere considerato la prima distopia femminista a raggiungere un’elevata influenza culturale tale da portare alla creazione di un sequel e trasformare il romanzo in una serie tv di successo.
Nel suo libro, la Atwood immagina un futuro prossimo dilaniato da guerre, cambiamenti climatici e crollo delle nascite, dove il governo degli Stati Uniti è stato soppiantato dalla teocrazia religiosa di Gilead. Le uniche donne ancora fertili come June, la protagonista, sono trasformate in schiave sessuali degli uomini al fine di far fronte alle necessità del Paese. La popolazione femminile viene privata dei diritti più basilari e qualsiasi tentativo di rivolta viene soppresso, mostrando un mondo spietato tanto quanto difficile da distruggere.
La grandezza del romanzo sta innanzitutto nella suo essere pionieristico e in qualche modo prevedere il futuro: il “Racconto dell’ancella” è stato infatti scritto nel 1985, quando ancora l’emergenza demografica e quella climatica non erano così gravi e la legge Roe vs Wade rimaneva una solida conquista.
Sicuramente, il primo elemento riconducibile alle distopie femministe presente nel romanzo è la creazione di un mondo in cui lo stupro è di fatto legalizzato e addirittura avvallato dal governo. A ciò si aggiunge la de-umanizzazione delle donne, sia nell’ambito della vita pubblica che in quella privata: ne è un esempio il cambio dei nomi delle ancelle in base a quello del loro “padrone” (June diventa Offred, Of-Fred – ossia proprietà del Comandante Fred).
Molto interessante è anche la messa in atto di ruoli di genere tradizionali e stereotipati che ingabbiano la popolazione femminile e distruggono qualsiasi solidarietà tra quest’ultima: non a caso, le donne indossano vestiti di colori diversi in base alla loro collocazione nella scala di “purezza”.
A rendere ancora più complesso il lavoro della Atwood è il legame spesso problematico tra June e Serena (la moglie del Comandante), in uno scenario dove le distinzioni tra vittime e carnefici non sono così nette e il sistema patriarcale di Gilead è sostenuto in primis dalle donne.
Altro romanzo celebre appartenente alle distopie femministe è “Vox” di Christina Dalcher, in cui il partito ultra-conservatore e misogino dei “Puri” ha preso controllo degli Stati Uniti e creato un sistema in cui le donne sono in una posizione di profonda inferiorità: a quest’ultime è infatti vietato leggere fin dalla nascita e devono attenersi a un limite di 100 parole al giorno, conteggiate mediante un bracciale sul polso che al superamento delle parole consentite rilascia delle potentissime scariche elettriche.
Frutto della sua esperienza e carriera come linguista, Dalcher ha saputo così creare un mondo in cui le donne sono silenziate in senso letterale, come culmine di un percorso di erosione dei diritti che parte dal divieto a un conto in banca fino alla rinuncia del proprio lavoro.
L’opera di Dalcher sembra rimandare a molte questioni allarmanti del nostro presente, in primis a quella del mansplaining che è una pratica ormai all’ordine del giorno per tutte le donne in ambito accademico e lavorativo. In “Vox”, il corpo femminile è controllato dallo Stato e le donne imparano i limiti di comportamento attraverso i dispositivi elettronici che sono costrette a indossare: la violenza fisica si mescola alla dominazione maschile e all’impiego delle tecnologie per sostenere l’egemonia patriarcale, giustificate tramite le istanze religiose.
Evoluzioni, critiche e contraddizioni
Ma come mai negli ultimi anni sempre più donne stanno scegliendo il genere distopico per veicolare le tematiche che ritengono più urgenti e che stanno loro più care? Sicuramente, le distopie femministe possono costituire un monito per la società, in quanto con la loro spregiudicata crudeltà e ferocia ritraggono cosa potrebbe succedere se le conquiste delle donne venissero annullate. Allo stesso tempo, le autrici di questo genere vogliono mettere in luce come la situazione attuale delle donne sia già pericolosamente molto vicina a una distopia: il movimento MeToo e la presidenza di Trump negli USA hanno riacceso la preoccupazione per i diritti mentre in altre parti del mondo, come Iran o Afghanistan, la popolazione femminile è già sprofondata nell’abisso.
Questa fascinazione ha di recente anche investito il mondo della televisione e successivamente il grande schermo: ne è un esempio il film “Don’t Worry Darling” diretto da Olivia Wilde, che dietro all’estetica patinata della suburbia del sogno americano e le ambientazioni thriller nasconde una riflessione sui ruoli di genere nella società e la soppressione dell’intelletto femminile. Nonostante le polemiche che hanno circondato il film e spesso ne hanno oscurato gli intenti, “Don’t Worry Darling” è efficace nel raffigurare fin dove si possono spingere le fantasie sessiste degli uomini.
D’altra parte, le distopie femministe sono state ripetutamente criticate, sia dai detrattori del femminismo stesso che da numerose attiviste appartenenti al movimento: il genere in questione è stato spesso accusato di mancare di intersezionalità, di costituire un esempio di “pornografia del dolore” e scadere nel mero sadismo con la rappresentazione di numerose brutalità nei confronti del sesso femminile. Ciò potrebbe normalizzare ancora di più la violenza femminile, oltre che polarizzare ulteriormente la società su tematiche già abbastanza divisive.
Emblema delle controversie insite nelle distopie femministe è l’opera di Naomi Alderman, “Ragazze elettriche” (The Power) che rovescia la prospettiva caratteristica del genere: nel mondo creato dalla Alderman sono le donne a governare grazie al potere di emanare energia elettrica, relegando gli uomini a una posizione di semi-schiavitù. I temi trattati in “Ragazze elettriche” spaziano così dall’empowerment femminile e dal matriarcato fino a questioni come privilegio, vendetta e corruzione.
In definitiva, le distopie femministe possono costituire una nuova modalità per dare visibilità alle battaglie del femminismo, anche se spesso rischiano di cadere nel torture porn. Forse, alla fine il problema sta proprio nel privilegio di poter guardare dall’altra parte di fronte a certi orrori piuttosto che nella spettacolarizzazione della violenza femminile. Immaginando un futuro prossimo terribile possiamo acquisire la speranza di combattere le storpiature del presente.