L’alluvione in Emilia-Romagna ha dato vita ad un dibattito acceso, ma molto poco scientifico, sul dissesto idrogeologico in Italia. Il WWF corre dunque ai ripari e stila una lista di fake news per sfatare falsi miti e luoghi comuni.
Il maltempo ha provocato la caduta di oltre 350 milioni di metri cubi d’acqua tra il 2 e il 17 maggio scorso. Nelle zone dell’Emilia-Romagna, soprattutto in provincia di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Bologna e Reggio Emilia, allagamenti, straripamenti e frane hanno causato danni importanti alle strutture e provocato la morte di molte persone. Un evento senza precedenti, che ha catturato l’attenzione della stampa per giorni, alimentando una serie infinita e pericolosa di fake news su cause e possibili rimedi al dissesto idrogeologico.
La comunità scientifica dimenticata
Si poteva evitare? Era una tragedia annunciata? Chi è il colpevole? A seguito di eventi catastrofici, non è raro che vengano poste questo tipo di domande ad esperti, autorità locali e/o nazionali, con conseguente, nel migliore dei casi, sovrapposizione ed errata interpretazione delle informazioni date. Se poi la scienza non è nemmeno chiamata ad intervenire su questioni di sua competenza, allora il rischio di sviluppare una rete di false notizie è dietro l’angolo.
Difatti, solo gli esperti dovrebbero dare spiegazioni su fenomeni complessi e la politica, di concerto, agire nell’interesse e per la sicurezza del territorio. Invece, in Italia si continua a temporeggiare o, peggio, ad investire soldi e risorse in progetti totalmente inutili, se non addirittura pericolosi.
7 milioni di italiani a rischio idrogeologico
Vittime inconsapevoli, non sempre, di una gestione inadeguata che spesso in prima persona avalla la disinformazione sui pericoli presenti in determinate aree, nelle quali una pessima manutenzione dei fiumi può avere conseguenze importanti.
Per queste ragioni, il WWF ha deciso di intervenire stilando una lista di fake news sul dissesto idrogeologico e proponendo delle soluzioni concrete, nonché efficaci, per limitare i danni a tutti gli esseri viventi.
Il dragaggio dei fiumi
L’operazione di escavare l’alveo del fiume consiste nel ripulire i fondali dai sedimenti deposti. Dunque, tramite l’utilizzo di una draga, vengono rimossi sassi, ghiaia e sabbia con l’obiettivo di rendere più profondo il corso del fiume. Quando si verificano eventi come quello in Emilia-Romagna, si tende spesso a puntare il dito contro la non attuazione di questa pratica a scopo preventivo. Tuttavia, diversi studi hanno dimostrato da tempo che dragare i fiumi altera il naturale equilibrio del corso d’acqua.
Inoltre, concentrando i deflussi verso valle, aumenta il rischio per le zone limitrofe, nelle quali la velocità di scorrimento diventa maggiore della norma.
In ultimo, il dragaggio comporta un aumento dell’azione erosiva sulle sponde e/o sul fondale, con scomparsa del materasso fluviale e conseguente restringimento dell’alveo stesso.
Rimozione della vegetazione
Sebbene togliere tronchi e rami morti dall’alveo sia fondamentale per garantire il normale deflusso, soprattutto in prossimità dei ponti, è tuttavia assolutamente sconsigliato il taglio della flora lungo le sponde. Infatti, il verde è essenziale per per tutto l’ecosistema fluviale e ripariale, in quanto, grazie al ruolo delle radici, contribuisce alla stabilità del fiume e rallenta la velocità dell’acqua durante le piene.
In ultimo, la vegetazione garantisce la capacità autodepurativa degli ecosistemi fluviali e mitiga i periodi di siccità, apportando progressivamente l’acqua conservata negli habitat ripariali.
Rettificare i fiumi
Nella lista dei falsi miti rientra anche il discorso di rendere più rettilinei i corsi d’acqua per evitare le inondazioni. Infatti, un’operazione simile aumenta la pendenza e dunque la velocità di scorrimento, che, nei periodi di piena, può determinare danni molto gravi alle zone colpite, complice anche il minor invaso disponibile.
Secondo gli esperti, tale soluzione non è del tutto inutile, ma rimane comunque scarsamente efficace, poiché richiede una manutenzione onerosa da mettere in pratica. Ad ogni modo, orientarsi su questa strada richiede grande prudenza nonché una valutazione accurata delle possibili conseguenze prima di qualsiasi azione.
Innalzamento degli argini
Hanno la funzione di proteggere gli insediamenti urbani durante le piene e, se non ci fossero, i danni potrebbero essere davvero ingenti. Tuttavia, tale soluzione unicamente strutturale per ovviare agli eventi catastrofici cui stiamo assistendo, non è sufficiente. Invece, sarebbe opportuno ampliare le aree di esondazione, così da ridare spazio ai fiumi, da tempo sempre più sacrificati.
Secondo i dati ISPRA (2022), il consumo di suoli ha raggiunto ormai ritmi spaventosi, sfiorando i 70 km2 di nuove coperture artificiali in un solo anno. Tuttavia, la tutela delle zone umide e della continuità dei fiumi, hanno un ruolo fondamentale per molteplici fattori:
- nella laminazione delle piene;
- nella ricarica delle falde;
- nella depurazione delle acque;
- assorbimento di CO2;
- protezione della biodiversità.
La costruzione delle dighe
Se da un lato è indiscutibile il loro ruolo nel contenere le piene di un singolo fiume o bacino, dall’altro non sono la soluzione esclusiva al problema. In tal senso la Romagna ne è un esempio eclatante, poiché ha subito danni ingenti, nonostante sia dotata della diga Ridracoli, una tra le più grandi di Italia.
Inoltre, le dighe tendono a limitare il trasporto di sedimenti al mare, con conseguente aumento dell’erosione costiera, i cui effetti richiedono poi la spesa di milioni di euro per il ripascimento delle spiagge. Sarebbe invece opportuno, e ormai urgente, ripristinare le aree di esondazione naturale che svolgono un’importante funzione di spugna, trattenendo le acque durante le piene.
Dissesto idrogeologico e infrastrutture
Ad oggi in Italia quasi il 10% del territorio è già cementificato, comprese diverse aree a rischio inondazione. Tale operazione impermeabilizza il suolo impedendo l’infiltrazione dell’acqua nel terreno e la ricarica delle falde acquifere. Di contro, viene implementato lo scorrimento superficiale con conseguente riduzione del tempo impiegato dalle acque piovane per riempire i fiumi.
Il problema del cambiamento climatico
Come ampiamente dimostrato da più studi, l’innalzamento delle temperature medie globali sta avendo sul bacino Mediterraneo effetti importanti di varia natura. Dall’alterazione dei cicli idrologici all’allungamento dei periodi di aridità, alternati con precipitazioni spesso brevi ma intense, ciascuno di questi fenomeni contribuisce al dissesto idrogeologico del nostro paese.
Demonizzare le nutrie
In Italia, i comuni a rischio frane ed alluvioni sono circa il 94%, ma in gran parte di essi degli animali fossori non c’è traccia. Localmente, laddove presenti, la loro attività può intaccare la solidità degli argini, tuttavia esistono già tante soluzioni per ovviare a questo problema, che comunque non giustifica i danni visti in Emilia-Romagna.
Ogni fiume, come un essere umano, ha una voce tutta sua. Nasce dal fondo della terra, dove ci sono il mistero e il tremore, e ha la malinconia delle cose che non tornano.
Trasformare i corsi d’acqua in canalizzazioni idrauliche, abitudine purtroppo comune, è stato un grave errore del passato. Oggi, tuttavia, si hanno delle conoscenze tali per cui perseverare in questa direzione non sarebbe perdonabile.
Quanto accaduto nella recente alluvione in Emilia-Romagna ha alla base molteplici cause, ma una radice comune da sradicare: l’ignoranza. La stessa capace di alimentare una diffusione incontrollata di leggende e falsi miti su questioni per cui solo la scienza meriterebbe parola.