Dispersione scolastica in Sicilia: uno scenario drammatico

Dispersione scolastica

Come evidenziato dal segretario della Flc Cgil Sicilia Adriano Rizza nel commentare il rapporto sulla dispersione scolastica pubblicato da Save The Children, i dati riguardanti la Sicilia rivelano uno scenario drammatico. Nel 2021, sul fronte della dispersione esplicita, infatti, il tasso uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione nell’isola si è attestato al 21,1%. Un dato che si discosta enormemente dalla media nazionale (12,7%), e criticamente lontano dal livello, da raggiungere entro il 2030, stabilito dal Consiglio dell’Ue (9%). Soffermarsi su ciò che emerge dalle rilevazioni effettuate risulta di fondamentale importanza, al fine di evidenziare l’impellente necessità di tracciare vie alternative.

Analizzare i dati che emergono dal rapporto sulla dispersione scolastica recentemente pubblicato da Save The Children, può risultare – senza molti dubbi – un’operazione scoraggiante. Ad un primo sguardo, infatti, svetta già sferzante un dato che, almeno in parte, testimonia l’attuale stato in cui versa il sistema scolastico italiano. La rilevazione riguarda il tasso uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione. Vale a dire, la percentuale di popolazione tra i 18 e i 24 anni che abbandona prematuramente i percorsi formativi.

In questa cornice, in Europa, l’Italia – nonostante recenti relativi progressi – si piazza sul podio (12,7%), seconda solo a Spagna (13,3%) e Romania (15,3%). Volendo precisare ulteriormente la questione, il dato si riferisce alla percentuale di minori che «non arriva neanche al diploma delle superiori, perché abbandona precocemente gli studi».

LA DISPERSIONE SCOLASTICA IN ITALIA: DAGLI ELET AI NEET

Altri indicatori concorrono ad affinare i contorni del quadro di riferimento. Ai finora analizzati ELET (Early leavers from Education and Training), si affiancano i NEET (Not in Education, Employment or Training). Vale a dire, i giovani inoccupati, disoccupati o non impegnati in alcun percorso di istruzione e formazione. In questo quadro, come si apprende dal rapporto pubblicato da Save The Children:

Il numero dei NEET nel nostro Paese, i 15-29enni che si trovano in un limbo fuori da ogni percorso di lavoro, istruzione o formazione, raggiunge il 23,1% ed è addirittura il più alto rispetto ai paesi UE (media 13,1%), segnando quasi 10 punti in più rispetto a Spagna (14,1%) e Polonia (13,4%), e più del doppio se si considerano Germania e Francia (9,2%).

Si tratta di uno stato critico che, tra le altre cose, implica anche costi sociali spropositati. Come denuncia il giornalista e docente universitario Giuseppe Di Fazio nella sua ultima opera Giovani Invisibili:

Nel 2013 l’Eurofound ha stimato per l’Ue in 153 mld di euro l’anno la perdita economica derivante dai NEET (30,6 mld per l’Italia) e un costo pari all’1,2% del Pil.

LA DISPERSIONE SCOLASTICA IMPLICITA

Ma oltre alla forma di dispersione esplicita, un altro indicatore consente di puntellare la cornice. La percentuale di dispersione “implicita”, che in Italia tocca il 9,7%. Percentuale in lieve calo rispetto al 2021 (9,8%), ma in netta crescita – probabilmente anche a causa della pandemia – se rapportata ai dati del 2021 (7,5%). Condizione che riguarda, come evidenziato da Roberto Ricci, presidente dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di Istruzione e Formazione:

[…] quegli studenti che, pur non essendo dispersi in senso formale, escono dalla scuola senza le competenze fondamentali, quindi a forte rischio di avere prospettive di inserimento non molto diverse da quelle degli studenti che non hanno terminato la scuola superiore.

DISUGUAGLIANZE TERRITORIALI: LA “QUESTIONE MERIDIONALE”

Se questo breve itinerario sull’attuale condizione della dispersione scolastica italiana lascia uno spazio poco più che angusto al conforto, la situazione precipita ulteriormente quando, procedendo ancora oltre la superficie, si volge lo sguardo sulle disuguaglianze territoriali del nostro paese. Rifacendoci, infatti, ai tre principali ambiti finora analizzati – benché la questione sia parecchio più ampia – emerge un profondo divario tra i blocchi geografici della penisola. Disuguaglianze così marcate, da portare gli autori del rapporto di Save The Children a intitolare un capitolo del lavoro Gli apprendimenti e la “questione meridionale”.

Procedendo in ordine, il già citato tasso di dispersione scolastica esplicita italiana (12,7%) assume valori assai diversi nelle tre principali macroaree peninsulari. A fronte dei numeri contenuti della fascia centrale e settentrionale – ben al di sotto della media nazionale e non molto lontani dagli standard stabiliti dall’Ue – al Meridione si registrano valori decisamente maggiori. Preoccupanti il 14% raggiunto in Calabria, il 16,3% della Campania e, soprattutto – transitando per l’elevatissimo 17,6% pugliese – lo spropositato picco del 21,1% sfiorato in Sicilia. Nell’isola, poi, drammatiche vette sono toccate nell’area metropolitana di Palermo (20,4%) e nella città metropolitana di Catania, dove il dato si attesta al 25,2%.

IL PRIMATO NEGATIVO DELLA SICILIA SUL FRONTE DEI NEET

Evidenze non meno scoraggianti si registrano sul fronte dei NEET. Se, come si anticipava, la media italiana (23,1%), supera di gran lunga il dato medio dell’Ue (13,1%), si apprende dal rapporto di Save The Children che:

[…] in regioni come Sicilia, Campania, Calabria e Puglia i 15-29enni nel limbo hanno addirittura superato i coetanei che lavorano (3 giovani NEET ogni 2 giovani occupati).

La già elevatissima media italiana emerge dall’incrocio di dati che testimoniano uno spropositato gap territoriale. Nel Meridione (32,6%), si registra un’incidenza del fenomeno assai maggiore rispetto alla macroarea del centro (19,9%), raggiungendo quasi il doppio della media settentrionale (16,8%).

In questa particolare e sconfortante classifica negativa, con un vertiginoso 37,5%, è la Sicilia a ricoprire il primo posto.

SICILIA E DISPERSIONE IMPLICITA: UN TREND DA INVERTIRE

E lo scenario non cambia di molto, riferendoci al tasso di dispersione implicita. Anche in questo caso, ci si ritrova di fronte ad una profonda frattura territoriale, con tassi fortemente differenziati al variare delle macroaree. A fronte del dato medio italiano (9,7%), in flessione rispetto al 2021 (16,5%), ma pur sempre elevato è il tasso percentuale siciliano (16%). Si legge, ancora, nel rapporto stilato da Save The Children:

Il divario si amplia ancora alla fine della scuola secondaria superiore, momento in cui si registrano oltre 15 punti di distacco tra regioni del Nord e alcune regioni del Sud: in Campania, Calabria e Sicilia, infatti, sono più del 60% gli studenti che non raggiungono il livello base delle competenze in italiano, mentre in matematica risulta raggiungere un livello insufficiente alla fine delle superiori il 70% degli studenti in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna.

GLI INDICATORI “STRUTTURALI”

Ma tentare di tracciare un quadro generale del sistema scolastico italiano, significa anche volgersi su quelli che, gli addetti ai lavori, definiscono indicatori “strutturali”. Si tratta di un passaggio ineludibile, se l’interesse di fondo risiede nel tentativo di restituire al corpo collettivo risposte sistemiche votate al perfezionamento dello status quo. E, di conseguenza, in un lavoro volto delineare i contorni di un perimetro d’intervento che miri a contrastare la povertà educativa. Soprattutto in quelle fasce geografiche come la Sicilia in cui, come si sta vedendo, i preoccupanti dati impongono l’urgenza di una tempestiva manovra collettiva. Da qui la necessità di vagliare «la correlazione […] tra la qualità dell’offerta in termini di strutture e tempo scuola e il livello di apprendimento conseguito da studentesse e studenti».

La questione è non poco complessa. Dal momento che, per tentare di restituire una cornice dettagliata dei rapporti intercorrenti tra qualità dell’offerta strutturale e livello di apprendimento, occorre incrociare molteplici variabili. Proprio per questo, i diversi collegamenti ai rapporti, forniti nel corso del nostro itinerario, vogliono configurarsi come un’introduzione ad un problema di ben più ampia portata. Come un tentativo di inquadrare ulteriormente la questione – sempre passibile di espansione – risiede nel soffermarsi ulteriormente su alcuni aspetti generali del problema.

SICILIA: SERVIZI SCOLASTICI ESSENZIALI ALLA TUTELA DELLE PARI OPPORTUNITÀ

Tra questi, si possono annoverare quei servizi essenziali alla tutela delle pari opportunità sul fronte dell’apprendimento. Motivo di grande interesse e, dunque, oggetto di svariati studi da parte degli addetti ai lavori, sono le mense scolastiche e gli asili nido.

Come emerge dal rapporto di Openpolis Perché è necessario sviluppare le mense scolastiche in Italia, nel territorio italiano, solo il 26,4% degli edifici scolastici sono provvisti di mensa. Il dato, però, precipita – e in buona parte, proprio per questo, si abbassa su scala nazionale – nel Meridione. In particolare, in Campania e Sicilia, dove le scuole dotate di mensa non superano il 10% (queste ultime rilevazioni risalgono al 2018). Si legge, ancora, nel rapporto di Save The Children che:

[…] percentuali superiori al 50% di scuole che hanno locali adibiti a servizio refezione si concentrano quasi esclusivamente nelle province del Centro e del Nord Italia, con punte superiori all’80% in particolare nelle province toscane di Prato, Firenze, Lucca, Pistoia, nonché ad Aosta e Torino. Di converso, le province di Ragusa, Agrigento, Catania registrano percentuali inferiori al 10% di copertura, e Napoli e Palermo sotto al 6%. Sono province, queste ultime, dove più di uno studente su quattro proviene da famiglie appartenenti al quintile socioeconomico più basso.

Dati drammatici, se le ragioni per cui ci si sofferma tanto sulla questione mense scolastiche sono tanto diverse tra loro quanto fondamentali. Dal contributo ad un corretto sviluppo psico-fisico di studenti e studentesse, al rafforzamento delle capacità socio-relazionali. Transitando dall’assicurazione del tempo pieno e dal sostegno in favore delle famiglie meno abbienti. Visto e considerato anche il fatto che, come sottolineato da Giuseppe Di Fazio, se «in Italia 10 famiglie su 100 non possono permettersi di mangiare carne o pesce ogni due giorni», nel Sud e nelle Isole «questa percentuale arriva a interessare rispettivamente il 17,4% e il 18% dei nuclei familiari».

LE INFRASTRUTTURE SCOLASTICHE IN SICILIA

Prima di approdare alla questione degli asili nido, anche le palestre costituiscono un altro fronte su cui affacciarsi per vagliare l’adeguatezza delle infrastrutture per l’apprendimento. Ancora una volta, da quanto si apprende dalla relazione diSave The Cildren, la Sicilia si distingue in negativo:

Nella maggior parte delle province della Calabria e della Sicilia, caratterizzate anche da una più alta percentuale di studenti con livello socioeconomico basso, la copertura delle palestre è tra le più basse del Paese (attorno al 10%).

Come si registra una profonda discrepanza territoriale a proposito degli asili nido pubblici. Evidenza Di Fazio nel testo Giovani invisibili:

A Catania, Palermo e Napoli la percentuale di posti ogni 100 bambini sotto i 3 anni negli asili nido pubblici è inferiore al 9%, a fronte di una media italiana del 25,5%, che arriva al 32% nel Centro-Nord.

Le province di Catania e Palermo – centri industriali, portuali, aeroportuali, universitari e traini economici – non superano, in tal senso, l’8,1% e l’8%.




ISTRUZIONE, FORMAZIONE E RICERCA: IL CUORE PULSANTE DEL PAESE

Da questo primo sguardo sulla dispersione scolastica in Sicilia, emerge uno scenario drammatico. Ora, volendo procedere oltre la fredda superficie – già, di per sé, eloquente – del tratto numerico, occorre elaborare diversi interrogativi fondamentali. Abitando i quali, senza la pretesa di esaurire un problema ben più ampio e complesso, è possibile tracciare delle linee direttrici. Che cosa significano ancora? Su cosa si può, e si deve, intervenire? In cosa risiede, e dove può portare, la profonda criticità di questi numeri? Combattere la povertà educativa, la dispersione scolastica – scrive Di Fazio nel già citato testo Giovani invisibili – significa:

Tenere in considerazione i giovani come una risorsa chiave per lo sviluppo e quindi metterli nelle condizioni di generare valori per i territori.

Ma, continua il giornalista, sarebbe anche «il primo e decisivo modo di combattere le varie mafie che condizionano la vita sociale del Meridione». Dal momento che «dove ci sono indigenza, degrado e dispersione scolastica le mafie trovano sempre terreno fertile per alimentarsi».

Investire sul capitale culturale deve configurarsi come uno dei principali orizzonti a cui tendere. In primis, perché si tratta di uno dei più inalienabili, ineludibili e fondamentali diritti sociali che uno Stato deve garantire. E custodire, curare, perfezionare. In seconda battuta, e conseguentemente, perché non farlo significa precludersi la possibilità di una non indifferente crescita sociale, civile ed economica. Se negli ultimi anni, in Sicilia, si è registrato qualche lieve miglioramento, la strada da seguire è quella della perfettibilità. È una questione di prospettiva, di attitudine, di visione d’insieme. L’universo culturale dovrebbe costituirsi come il nucleo fondante, il cuore pulsante del paese. È necessario che istruzione, formazione e ricerca figurino tra le costanti priorità di ogni agenda politica. Chiaramente, in sinergia con il corpo collettivo e le realtà intermedie dello stato sociale.

Mattia Spanò

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