Disparità di genere: le donne sono ancora svantaggiate nel 2024

Disparità di genere

Cos’è la disparità di genere

Per disparità di genere si intende quando un genere è poco rappresentato e svantaggiato in diversi ambiti della vita pubblica e privata. È un fenomeno molto complesso, le cui cause alla base sono differenti e colpisce le donne di tutto il mondo in quanto nonostante abbiano, formalmente, gli stessi diritti degli uomini questo non garantisce le stesse opportunità. Dato che dipende anche a seconda del Paese di provenienza della donna.

Discriminazione economica

Le donne, ancora oggi, in tanti Paesi subiscono diverse forme di discriminazione in quasi tutte le fasi della loro vita. Prima fra queste è l’istruzione, infatti, l’analfabetismo nel mondo colpisce maggiormente le donne rispetto agli uomini. Circa 617 milioni di bambine e adolescenti non sanno né leggere né scrivere, per esempio, in Asia centrale le bambine che lasciano la scuola nell’età dell’obbligo rappresentano il 27% in più rispetto ai bambini.

Le cause principali dell’analfabetismo femminile, nei casi sopraccitati, è da un lato la povertà poiché le famiglie non dispongono del capitale necessario per pagare la retta e il materiale scolastico necessario. Dall’altro lato vi è la componente discriminatoria poiché le famiglie che versano in gravi condizioni economiche preferiscono che le ragazze restino a casa per aiutare nelle faccende domestiche mentre prediligono far studiare i figli maschi.

Secondo uno studio condotto dalle Nazioni Unite nel 2015, circa 500 milioni di donne sono analfabete. 

Ma non poter aver accesso all’istruzione è la prima e, forse, più grave forma di discriminazione che limita il potenziale sviluppo della donna per poter raggiungere l’indipendenza economica.

In Italia, questo divario è ben evidente già nelle scuole e nelle università poiché è emerso che nei percorsi di studio scientifici le ragazze sono sotto rappresentate, disuguaglianza che impatta enormemente la sfera occupazionale in quanto sono i lavori che vengono retribuiti di più.

Il lavoro femminile negli anni attraverso le leggi

Uno dei primi interventi volti a tutelare il lavoro delle donne fu la legge 19 luglio 1902 n. 242 nota anche come Legge Carcano che introdusse per la manodopera femminile il limite massimo di lavoro a dodici ore giornaliere con una pausa di due ore e un congedo di maternità, non retribuito, 28 giorni dopo il parto. Inoltre, vietava per le minori il lavoro notturno e alle donne alcuni lavori ritenuti “pericolosi” ma che in realtà erano “lavori ideologicamente ritenuti incompatibili con le attitudini femminili”.

Un vero passo in avanti è stato sancito nel 1977 con la legge Anselmi (n. 903), in cui si introdusse per la prima volta il concetto di pari trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. Inoltre, tale legge vietava qualsiasi discriminazione sul sesso.

Bisogna anche ricordare che l’articolo 37 della Costituzione Italiana sancisce che una donna, senza nessuna eccezione, può accedere agli impieghi pubblici e a tutte le cariche professionali.

Le conseguenze della disparità di genere

Alcuni degli obiettivi principali dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite includono garantire a tutti l’accesso a un’istruzione di qualità. Tuttavia, secondo l’Unicef, 129 milioni di donne non possono usufruire di questo diritto, e questo divario nell’istruzione e nella formazione professionale rappresenta una delle forme più gravi di violenza nei confronti delle donne. La violenza si presenta in diverse modalità, alcune delle quali sono accettate culturalmente.

La violenza di genere

Una delle conseguenze di cui sono vittime le donne, relegate in una condizione di perenne inferiorità, è la violenza di genere che ha radici ben radicate nei rapporti di potere tra uomo e donne, alimentata da stereotipi e retaggi culturali patriarcali che dovrebbero essere considerati obsoleti e superati. Non stupisce quindi che nel mondo almeno una donna su tre nel corso della sua vita sarà vittima di abusi e/o episodi di violenza.

In Italia, secondo i dati Istat il 31,5% delle donne, con età compresa tra i 16 e i 70 anni, ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Nella maggioranza dei casi, le forme di violenza più gravi sono state esercitate da amici, parenti o partner. Per quanto riguarda gli stupri, sono stati commessi nel 62,7% dei casi dai partner. 

Un’altra forma di violenza è quella economica e psicologica, attraverso l’adozione di comportamenti e atteggiamenti svalutanti, umiliazioni, controllo e intimidazione ma anche privazione e un accesso molto limitato alle disponibilità economiche, ponendole in una costante condizione di subordinazione rispetto agli uomini.

Il sessismo linguistico

Vi sono tanti termini nella grammatica italiana con una netta prevalenza del genere maschile rispetto a quello femminile. Ad esempio, ancora oggi, si usa il termine “uomo” per indicare donne e uomini. Si pensi anche ai ruoli professionali: “ministro”, “avvocato”, “presidente”, “sindaco” hanno tutti una connotazione maschile, perpetuando continui stereotipi. Una possibile soluzione potrebbe essere l’adozione di parole e termini neutri che possano accogliere tutte le persone e in cui tutti possano riconoscersi, solo così ci potrebbe essere un reale e drastico cambiamento per la parità di genere.

Mutilazione genitale femminile

Nonostante le mutilazioni genitali femminili siano riconosciute a livello internazionale come una grave violazione dei diritti umani, sono una pratica ancora molto diffusa. Secondo i dati riportati da OMS e Unchr, ancora oggi, 12 mila ragazze al giorno sono vittime di mutilazione genitale.

Tratta degli esseri umani

Le ragazze sono le principali vittime di tratta degli esseri umani. Quest’ultima implica una coercizione di tipo fisico e/o psicologico, finalizzata allo sfruttamento della vittima in termini di lavoro forzato e/o nero e sfruttamento sessuale. Secondo gli studi è emerso che l’età media delle vittime dello sfruttamento è di 25 anni. Nel 75,2% dei casi è di sesso femminile, di nazionalità estera, principalmente rumene (51,6%) e nigeriane (19%) e nel 13,6% dei casi sposate o con figli. Non bisogna dimenticare che il 15,7% delle vittime sono minorenni.

Spose bambine

Secondo il rapporto dell’Unicef sono 640 milioni le bambine sposate durante l’infanzia, una media di circa 12 milioni di ragazze all’anno. Rispetto al rapporto pubblicato cinque anni fa, la percentuale è diminuita dal 21% al 19%, tuttavia per porre fine ai matrimoni infantili e raggiungere l’obiettivo di sviluppo sostenibile entro il 2030 dovrebbe essere 20 volte più rapida. Sposarsi durante l’infanzia produce delle conseguenze a lungo termine per queste bambine: come l’isolarsi dal contesto sociale, familiare e amichevole e c’è molta più probabilità che possano abbandonare gli studi.

Gender pay gap

La realtà si complica ulteriormente se parliamo di gender pay gap ossia la differenza salariale tra uomo e donna. Secondo il “Global gender Report 2024” l’Italia si trova solo all’87esimo posto su scala globale.

In media le donne vengono pagate il 12,7% in meno all’ora rispetto agli uomini pur svolgendo la stessa mansione. Lavorano più ore a settimana non retribuite e circa il 30% svolge un part-time mentre solo l’8% degli uomini lavora part-time. Emerge anche che un terzo delle donne dell’Unione Europea ha subito un’interruzione lavorativa per motivi familiari. Nonostante le donne rappresentino il 41% della forza lavoro, svolgono lavori assistenziali, nella sanità e nell’istruzione quindi a basso salario. 

Bisogna sottolineare che vi è uno squilibrio anche nelle posizioni lavorative: sono poche le donne che ricoprono ruoli di potere, infatti, ciò è ben evidente in diversi settori, dalla magistratura, la politica, ai vertici aziendali. Tale fenomeno viene definitivo glass ceiling, soffitto di cristallo, espressione usata per indicare una barriera che rende più difficile per una donna avanzare nella propria carriera fino a raggiungere posizioni apicali.

Possibili cause per migliorare la parità 

Sin nelle scuole bisognerebbe rimuovere le barriere e gli stereotipi sociali, assicurando le stesse opportunità per lo sviluppo delle capacità personali in tutte le discipline. Si potrebbero incrementare i servizi educativi dedicati alla prima infanzia come gli asili nido permettendo a entrambi i genitori di poter coniugare la vita lavorativa e quella familiare, senza che la donna sia costretta a doversi licenziare. O, ancora, avanzare proposte che possano riconoscere l’attività domestica come ore lavorative.

Quindi, promulgare leggi volte a promuovere la parità affinché si abbiano le stesse opportunità di far carriera, promuovendo così l’indipendenza economica ed eliminando le differenze retributive.

Il fenomeno della disparità e violenza di genere non può più essere ignorato, forse solo così potremo evitare di diventare l’ennesima vittima di un sistema tossico di cui già conosciamo la storia e il finale.

 

 

Brigida Cozzolino

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