La disparità di genere è una concretezza secolare dalle radici profonde. Soprattutto in Italia. Nel convegno «Parità di genere, rivoluzione possibile» si sono espresse delle riflessioni essenziali.
Si fa notevolmente riduttivo il pensiero che la disparità di genere – o “gender gap” – sia un qualcosa dai contorni ormai sbiaditi. Infatti, un’attenta osservazione della realtà circostante rivela che si è ancora troppo lontani. Troppo lontani dalla realizzazione di una libertà condivisa da tutti e per tutti.
Nella giornata di lunedì 3 aprile alle ore 18.00 in Campidoglio (Palazzo Senatorio – Sala del Carroccio, Roma), si è tenuto un incontro particolarmente sensibile al tema della parità di genere, in virtù dell’esaltazione della diversity come valore aggiunto. Protagoniste dell’evento sono state Andrea Catizone, avvocata sui diritti della persona e delle discriminazioni, legal advisor su gender eguality, diversity and inclusion, Flavia De Gregorio, Presidente del Gruppo Capitolino della Lista Civica Calenda Sindaco, Antonella De Maria, commercialista esperta in gestione aziendale, fiscale e del lavoro e, in veste di moderatrice, Simonetta Novi, giornalista e Presidente del Gruppo VIII Municipio Lista Civica Calenda Sindaco.
La fiducia nella Certificazione della parità di genere
Fulcro dell’incontro è stata l’analisi dell’attuale relazione tra la Certificazione della parità di genere e il nuovo Codice degli appalti (Dlgs 36/2023), pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 31 marzo scorso. Il Sistema di certificazione della parità di genere è stato promosso dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e ha l’ambizioso scopo di:
[…] ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale e parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità.
Si tratta dunque di un’attestazione rilasciata alle imprese che, in piena regolarità e trasparenza, si impegnano a ridurre il “gender pay gap” (“divario retributivo di genere”), relativo alla differenza tra il salario annuale percepito dagli uomini e quello percepito dalle donne. Ciò consente alle lavoratrici una maggiore possibilità di crescita e alle aziende diverse agevolazioni, come uno sgravio sui contributi versati a favore dei lavoratori. Come è indicato nel Dpcm 29 aprile 2022, per ottenere la certificazione è necessario raggiungere un certo punteggio (almeno il 60 per cento del massimo), risultante dall’analisi di specifici indicatori chiave di prestazione (Key Performance Indicator – KPI).
Insomma, si traduce in un passo in avanti per un’Italia che si posiziona solo al 63° posto secondo il report annuale Global Gender Gap Index, volto a misurare il divario di genere nella partecipazione economica e politica, nel campo della salute e del livello di istruzione.
Tuttavia, le modeste speranze hanno già iniziato a ritrarsi.
La disparità di genere e il nuovo Codice degli appalti: cosa è cambiato
Il nuovo Codice degli appalti non prevede più l’obbligo della Certificazione per garantire il rispetto della parità di genere in una impresa, ma si accontenta di un’autocertificazione. Si legge (art. 108, c. 7):
Al fine di promuovere la parità di genere, le stazioni appaltanti prevedono nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, il maggior punteggio da attribuire alle imprese che attestano, anche a mezzo di autocertificazione, il possesso dei requisiti di cui all’articolo 46-bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198. La stazione appaltante verifica l’attendibilità dell’autocertificazione dell’aggiudicataria con qualsiasi adeguato mezzo.
Inoltre, con il nuovo Codice l’importo della garanzia è ridotto del 10 per cento in meno rispetto a prima (dal 30 al 20 per cento). Nell’art. 106, c. 8 è scritto:
L’importo della garanzia e del suo eventuale rinnovo è ridotto fino ad un importo massimo del 20 per cento […] quando l’operatore economico possegga uno o più delle certificazioni o marchi individuati, tra quelli previsti dall’allegato II.13 […].
Tutto questo rischia davvero di sgretolare l’idea di una consapevole parità di genere.
Le tre relatrici rispondono secondo le caratteristiche della loro formazione professionale e delle loro idee di parità e di diversità.
Andrea Catizone: l’intraprendenza delle sindache italiane
Andrea Catizone, assieme a Michela Ponzani, è autrice del libro Le sindache d’Italia, che si concentra sulla storia delle prime dieci donne elette come sindache a partire dalle elezioni amministrative del 1946. Tali donne avevano diversa provenienza territoriale e diversi profili sociali, ma un stesso profondo coinvolgimento in una situazione italiana disastrata dagli anni di guerra. Già da allora, le donne in rappresentanza non parlavano solo di donne, ma di democrazia. Tuttora, le tematiche affrontante da queste non sono femminili, ma femministe. E per «femminismo» si intende lo storico movimento diretto al riconoscimento della parità di diritti, e non un atteggiamento radicale che ignora tali obiettivi e alimenta il disordine pubblico. «La donna libera è la donna che può esprimersi attraverso il lavoro». Così precisa Catizone prima di definire la maternità come uno degli elementi in cui si mostra una forma di discriminazione di genere.
Flavia De Gregorio: la sensibilità delle donne al potere
Flavia De Gregorio propone il suo punto di vista di donna al potere e di donna giovane. Infatti, avverte piuttosto vicino il problema culturale che vede le donne al potere in difficoltà nell’esporsi alle critiche, dimostrando una minore tolleranza al rischio. Per questo, la figura del padre assume un ruolo determinante nella crescita della figlia nel senso dell’immagine e controllo del sé. La donna deve trovare nel padre e nella madre due diversi ruoli, ma legati ad un unico scopo: la crescita sana dei figli in quanto genitori, e in quanto pari. Secondo De Gregorio, anche per questo devono essere adottate delle norme che regolino gli orari di lavoro, poiché spesso mettono in seria difficoltà la conciliazione della vita privata e della vita lavorativa della donna.
Antonella De Maria: i colori della sostenibilità
Antonella De Maria introduce il suo intervento con la trasmissione di un video istituzionale dell’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile).
Questo video mostra in modo efficace e d’impatto il programma dell’Agenda 2030, di cui leggiamo:
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi.
A partire dal 2020 ed entro il 2030, tutti gli Obiettivi dovranno essere raggiunti. Questa è la grande impresa su cui stanno attivamente investendo le Nazioni Unite, e Antonella De Maria sostiene questo progetto. Inoltre è promotrice, assieme a Elisabetta Biondi, Barbara Balistreri e Michela Berti, dell’associazione apolitica e apartitica Do.N.N.E. in Europa – Do Not Neglect Experience, che supporta il «principio della parità di genere in tutte le sue forme». Il concetto di base su cui la relatrice ragiona è proprio quello di «sostenibilità», da cui deriva quello di «biodiversità» e perciò quello di «diversità», opposto alla «disparità di genere».
La sostenibilità del pianeta si trasforma allora in un veicolo d’ispirazione per comprendere in cosa consiste il rispetto. L’ambiente e le persone convivono in un unico spazio, che è il mondo stesso. La biodiversità si identifica nella varietà e nella variabilità degli organismi viventi, e la sua protezione comporta una maggiore sicurezza nella nostra vita. Di conseguenza, la diversità è la chiave dell’accettazione di se stessi attraverso il prossimo. Ecco perché essa è un valore aggiunto che arricchisce il concetto della parità di genere.
Essere diversi è come essere uguali. E io ti amo, anche se non ti conosco.