Disordini alimentari, il Web come diario di un dolore

Fonte: http://www.comefaresulweb.it/immagini/upload/2015/07/anoressia_3.jpg

DISORDINI ALIMENTARI RACCONTATI SU INTERNET: IL WEB E I FOLLOWES DIVENTANO LETTORI E TESTIMONI DI UNA CRONACA DOLOROSA, FATTA DI DISCESE E SALITE. 

LA NUOVA PAGINA DEI NOSTRI SEGRETI È VIRTUALE.

ABBIAMO FINITO DI DEFINIRE IL WEB COME LA “NUOVA” FRONTIERA DELLA COMUNICAZIONE: GIÀ DA TEMPO I SOCIAL HANNO SOSTITUITO NON SOLO LA NOSTRA PENNA, MA ANCHE LA NOSTRA VOCE E SONO DIVENTATI IL NOSTRO DIARIO; CUI AFFIDARE RIFLESSIONI, PAROLE, FOTO E ANCHE SEGRETI; AL PUNTO CHE, IN ALCUNI CASI, NON TANTI RARI, I NOSTRI POST ASSUMANO LA FORMA, PUR GREZZA, DI UNA “TERAPIA”. E I FOLLOWERS DIVENTANO COMPAGNI DI VIAGGIO E SUPPORTERS. MA FUNZIONA DAVVERO? O SI TRATTA DI UN USO IMPROPRIO DEI SOCIAL, DI CUI SI SOPRAVVALUTA IL POTERE?

IL NUMERO DI PERSONE CHE CI SEGUE PUÒ REALMENTE AIUTARCI, QUANDO IL PROBLEMA È PIÙ SERIO DI QUANTO SI VOGLIA AMMETTERE?

Sulla scia della toccante e bellissima intervista del “The Post Internazionale” in cui una ragazza, Enrica Tinelli, ha raccontato con grande limpidezza la sua lotta quotidiana contro i disordini alimentari, oggi prendiamo spunto dal coraggio di questa giovane diciannovenne e torniamo a trattare di eating disorders, un tema molto delicato di cui non si parla mai abbastanza. Stavolta, però, proviamo a guardarlo attraverso la lente caleidoscopica della tecnologia.

Internet adibito a diario segreto, in cui si annotano esperienze dolorose, a volte non solo connesse ai disordini alimentari, ma anche ad autolesionismo, e persino a violenze. Basta fare un giro in rete, cliccare, e tra i tutorial banali sui make up, e i gradevoli video su vestiti, recensioni di letteratura e film compariranno anche gli “autori”/ le “autrici” dei diari.

I disordini alimentari sono un male esteso, che non guarda in faccia né il sesso né l’età della persona. Non è mai troppo presto per ammalarsi. Possono soffrirne anche i bambini, non solo ragazzi, o gli adulti.

 

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Tuttavia nel caso specifico dei disordini alimentari, le “autrici” su internet vanno per la maggiore. Sono le nuove Brontë della parola che vola.

Compaiono a gambe incrociate sul letto della loro cameretta adibita a studio di registrazione improvvisato. I poster dei loro idoli appesi alle pareti, qualche peluche sul cuscino, e al centro dello schermo sempre loro. Spuntano nel bel mezzo del mondo che le circonda, e le riconosci perché in stanza, oltre a loro, non c’è nessuno. Aspettano il momento buono per essere sole, per rivolgere quella confessione in tutta tranquillità. Ragazze tra 12-20 anni, di cui potresti intuire l’età guardando il tratto di eyeliner che copre le palpebre e la maglietta che indossano; calme all’apparenza, vestite di una compostezza che mascheri l’imbarazzo di quella confessione tenera quanto straziante. Da quella stanza sussurrano i loro segreti e il web li spiffera al mondo. Sono magrissime, sono di corporatura normale, sono un po’ in carne. Sembrano ragazze comuni, ma dentro nutrono un segreto. Un disagio. E nessun groppo in gola riesce a fermarle: puntano lo sguardo dritto nella webcam, immaginando qualcuno di preciso, che stia lì ad ascoltarle. Un padre, una madre, un ex, un insegnante, un amico. E parlano al popolo del web, a chiunque sia disposto a prestar loro quel minimo d’attenzione che nella vita, per una situazione o per un altra, non riescono ad ottenere o a richiedere.

Si tratta di un fenomeno che ormai, nel bene e nel male, è diventato un trend, una moda, o forse un nuovo modo per gestire il problema dei disordini alimentari? Video, foto, e post sul web, in cui i diretti interessati/e gridano il loro dolore, formulano un “Stay strong” e propongono citazioni di vecchi autori sull’importanza della bellezza interiore. Quello che queste/i ragazze/i fanno è, in effetti, provare a spiegare a chi li guarda il loro doloroso rapporto con se stessi/e, il proprio corpo ed il cibo.

MA CI RIESCONO DAVVERO?

È importante capire che i disordini alimentari non sono una semplice protesta, e non si esperiscono nella mera questione estetica: non mi piaccio, sono grasso/a; quindi non mangio. Si comincia col ridurre i pasti normali. Non più latte e biscotti la mattina; solo latte. Al massimo un caffè. E se pranzi a scuola, meglio ancora: prendo l’insalata, e butto via la pasta. Non la condisco neppure. E se la mamma si accorge che stai dimagrendo, racconti che non è vero. Non sarà mai vero, neanche quando cadrai dentro i vestiti che indossi. Neanche quando ti guarderai allo specchio, e contemplando la perfetta linea delle ossa, penserai: cavolo, sono ancora grassa/o. L’ossessivo controllo delle quantità, delle dosi, delle calorie non è che la parte superficiale di una questione sedimentata al di sotto del visibile. Nel profondo.

L’insidia di questa malattia è che essa è intrinsecamente legata a nostri affetti, ai rapporti di cui “nutriamo” la nostra vita. La chiamano “Fame d’amore”, perché è questo l’ingrediente mancante. E la sua assenza (o l’impressione che manchi) genera un vuoto che, consciamente o meno, decidiamo di gestire controllando l’assunzione di ciò che mangiamo. Abbuffandoci o privandocene.

I DISORDINI ALIMENTARI SONO UNA MALATTIA SOCIALE. UN TEMPO COLPIVANO LE TEENAGERS, MA AD OGGI STANNO MIETENDO VITTIME ANCHE AL DI FUORI DELLA CATEGORIA TRA GLI 11-18 ANNI. GLI STUDI HANNO DIMOSTRATO CHE I DCA (“DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE”) POSSONO INSINUARSI INDIFFERENTEMENTE FIN DALL’INFANZIA. L’ANORESSIA, IL RIFIUTO RADICALE E PROGRESSIVO DEL CIBO, NON È CHE LA VERSIONE PIÙ NOTA DI UN PROBLEMA CHE SI PRESENTA IN VARIE FORME: BULIMIA, BINGE, COME PURE L’ORTORESSIA. E LA LISTA POTREBBE CONTINUARE.

IL WEB È UN MEZZO COMPLESSO, DOVE SI TROVANO SITI PRO-ANA (CHE INCITANO A DIETE A BASSO CONTENUTO CALORICO) E SITI CHE CONDUCONO UNA FERREA LOTTA CONTRO QUESTI ULTIMI.

I disordini alimentari riguardano da vicino tutti noi. Nessuno è immune dai disordini alimentari. Ci si approccia a questo tema, a volte anche snobbandolo, o perché sia troppo crudo, o troppo deprimente. Non sono belli, né attraenti quei corpi scheletrici.

Ma questi sono una reazione ad una serie più ampia e radicata di bisogni, di mancanze, di solitudini, che si dovrebbe enucleare, portare a galla, spiegare a se stessi e rimuovere. E benché esternarlo sia necessario per creare i presupposti di una guarigione, limitarsi a registrare quel video e diffonderlo non basta. Occorre, e qui mi ricollego a quanto ha fatto Enrica, prendere in mano la situazione, uscire dalla stanza e andare a dirlo ai genitori, ai famigliari, a un amico che ci aiuti a venirne a capo. Rivolgersi al tanto temuto medico.

Perché purtroppo la strada della guarigione è lunga e prevede una sfilza infinita di batoste, di alti e bassi. Giorni buoni e giorni cattivi, in cui sarai più in bilico di altri, e avere una rete di sicurezza alle spalle, una parola di conforto, un abbraccio che ti stringa al presentarsi delle difficoltà, sarà fondamentale per proseguire.

Basta sbandierare quel vacuo e inutile “io sto bene”, pur di non parlarne. IL SILENZIO NON RISARCISCE MAI. Intensifica il problema. Bisogna aprirsi all’esterno, perché per tanti casi di storie a lieto fine, ce ne sono tante altre che non ce l’hanno.

Su internet sarebbe bello vedere non più, o non solo, il dramma personale, pagine di parole non dette nel quotidiano, e asserite ai followers in una stanza silenziosa, ma un numero crescente di persone che vincono il buio della malattia, riuscendo ad accettarsi, e a trovare un proprio spicchio di felicità. Le cronache di una guarigione: questo è ciò di cui abbiamo bisogno!

Per questo, ringraziamo Enrica Tinelli, che ha portato il suo splendido esempio di rivalsa sui disordini alimentari e ci auguriamo che tanti altri, incoraggiati, ne seguano le orme.

#staystrong but in everyday life!

 

Chiara Fina

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