Disoccupazione femminile, ad agosto 68 mila donne hanno perso il posto di lavoro

disoccupazione femminile

Cresce il tasso di disoccupazione femminile che tocca l’85% e firma un agosto da dimenticare per il mondo del lavoro.

Il nuovo report dell’ISTAT sulle Forze di Lavoro fotografa una situazione difficile per il nostro paese. Infatti, nel mese di agosto altri 80 mila posti sono andati persi, aggiungendosi ai già 76 mila di luglio. Invece, rispetto allo stesso periodo del 2020, si registra una crescita di circa 162 mila unità, grazie alle quali il tasso di occupazione ha guadagnato 0,8 punti. Tuttavia, se il trend rimane positivo nel confronto con l’anno precedente, non migliora il divario tra disoccupazione femminile e maschile.




Estate 2021

Secondo quanto riportato dall’ISTAT, a giugno 2021 si è registrato un incremento dell’occupazione (+0,7%) e un calo sia dei disoccupati sia degli inattivi; finalmente, dopo cinque mesi, il tasso di disoccupazione (9,7%) era sceso sotto il 10%.

Purtroppo, nel luglio 2021 il trend si è invertito con una diminuzione (-0,1%) del numero dei lavoratori e una crescita degli inattivi. In questo caso, il calo ha interessato sia uomini sia donne, ma principalmente gli autonomi e le classi d’età maggiori di 35 anni.

Una pagina ancora più triste, come già anticipato, è stata quella di agosto 2021. Infatti, il tasso di occupazione ha perso altri due punti (-0,2%), sicché la percentuale degli occupati è scesa al 58,1%.

Disoccupazione femminile

Dagli anni Settanta del secolo scorso l’occupazione femminile in Italia è cresciuta costantemente. Tuttavia, non ha mai raggiunto i livelli di quella degli uomini, rimanendo, invece, molto al di sotto. Questo andamento si riscontra in tutte le regioni, ma si intensifica nel Mezzogiorno, dove il numero di donne occupate fatica veramente tanto a crescere. Inoltre, facendo un confronto con l’Europa per tasso di disoccupazione, l’Italia si colloca al penultimo posto, che diventa ultimo, se prendiamo in considerazione la fascia di età 25-34 anni. Una situazione di disuguaglianza drammatica, considerando anche una popolazione italiana composta al 51% da donne.

La pandemia

L’emergenza sanitaria determinata da Covid-19 ha avuto un impatto notevole sul mondo del lavoro. Le chiusure prolungate e le restrizioni, che ancora interessano il nostro paese, hanno acuito la crisi economica, aumentando anche il tasso di disoccupazione. Tuttavia, ancora una volta a soffrire di più sono state le donne con un calo complessivo di occupate del 3,6% rispetto al 2% degli uomini nel 2020.

Diversi fattori hanno contribuito ad ad aumentare questa discrepanza, dalla presenza di più donne nei settori maggiormente colpiti al non rinnovo dei contratti a tempo determinato, i quali, da sempre, interessano più le donne (16,2%) rispetto agli uomini (12,4%). Inoltre, in pandemia la grande partecipazione femminile alla cura degli anziani e dei bambini ha messo molte donne nella condizione di avere serie difficoltà a lavorare.

Agosto 2021

Lo dicono i dati, la disoccupazione femminile in agosto ha toccato numeri inimmaginabili. L’ISTAT parla di circa 68 mila occupate in meno contro gli 11 mila uomini, un calo influenzato anche dall’occupazione stagionale, che caratterizza il periodo estivo. Si registra una diminuzione delle persone in cerca di lavoro (-0,2%), ma soprattutto tra gli uomini e i giovani (15-24 anni). Invece, sono cresciuti gli inattivi e questa volta la percentuale maggiore interessa le donne.

Migliora la situazione, se si guarda al dato tendenziale, mettendo a confronto lo scorso agosto con quello del 2020. Infatti, le donne occupate sono state 67 mila in più, sebbene l’incremento abbia riguardato quasi esclusivamente il lavoro dipendente a termine.

La disuguaglianza di genere in Italia passa attraverso tutte le altre disuguaglianze, contrastarla significa combattere anche le altre.

Sono le parole di Linda Laura Sabbadini, la presidente dell’Engagement Group Women 20, che da anni è attiva nel migliorare la condizione della donna nel mondo del lavoro. Purtroppo, ancora oggi ci sono troppe disuguaglianze di genere, particolarmente evidenti nell’accesso, permanenza e sviluppo delle carriere lavorative. Infatti, spesso le donne entrano più tardi nel mondo del lavoro, non hanno le stesse possibilità di crescita e, in ultimo, il loro reddito da pensione è più basso del 40% rispetto agli uomini.

Nulla di nuovo, purtroppo, ma ancora non si fa abbastanza per abbattere retaggi culturali e promuovere un’immagine paritaria dell’uomo e della donna nel mondo del lavoro. “Non si investe in infrastrutture, in nidi pubblici che dovrebbero passare dal 25% al 60%. Non si investe nella scuola a tempo pieno, nella cura e nell’assistenza agli anziani e ai disabili.” Eppure, è da tempo noto quanto ci sia una correlazione stretta tra queste problematiche e la disoccupazione femminile.

Hecession – Shecession

Nel 2008, anno noto per la grave crisi finanziaria mondiale, si parlò a lungo di “Hecession”ovvero della recessione che colpì maggiormente gli uomini. Infatti, all’epoca si verificò una notevole perdita di posti di lavoro nel settore dell’edilizia e dell’industria manifatturiera. Oggi, la pandemia di Covid-19 ha introdotto il termine “Shecession”poiché le principali vittime dell’emergenza sanitaria sono state le donne.

L’Istituto INAPP ha raccolto i dati sulla disoccupazione femminile in Italia, confrontandoli poi con il panorama internazionale. In un solo anno “le donne occupate sono diminuite del 2,6% nel lavoro dipendente (contro l’1,9% degli uomini) e del 7,6% nel lavoro indipendente (contro il corrispondente -2,5% maschile)”. Secondo l’OCSE c’è stato un calo del 4% della forza lavoro femminile e un impatto negativo sui salati dell’8,1% contro il 5,4% degli uomini.

“Il femminismo non riguarda il rafforzamento delle donne. Le donne sono già forti, si tratta di cambiare il modo in cui il mondo percepisce quella forza”.

La scienza ha dimostrato più volte quanto nella società sia fondamentale la figura della donna in ambito economico, finanziario e sociale. Infatti, il suo contributo, come dicono i dati, ha un impatto significativo sulla crescita di un Paese. Eppure, tutte queste evidenze sembrano interessare solo gli scienziati e qualche persona, uomo o donna che sia, particolarmente sensibile all’argomento. Lo dimostrano i fatti, pochi, dai quali emerge un impegno ancora piuttosto marginale, che rispecchia un sostanziale disinteresse.

Qual è il problema alla radice di questo fenomeno? Un mal comprensione della scienza? Un’errata comunicazione? Può darsi, ma forse, più di tutti, alla base di questa difficile battaglia c’è una mancata rivoluzione culturale, nonché educazione all’uguaglianza di genere.

Oggi più che mai abbiamo bisogno di un percorso di crescita che non si fondi sull’alimentare un insensato sentimento di odio verso il genere maschile: non porta a nulla.

Il problema della disuguaglianza non si risolve trovando punti su cui scontrarsi, ma semmai punti da cui ripartire. Insieme. Ad armi pari. 

Carolina Salomoni

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