A.P.E. InFo – Associazione Psicologi Europei In Formazione
Secondo l’Osservatorio Italiano dei diritti solo il 47% delle donne italiane risulta occupata ed il nostro paese si colloca penultimo in Europa per partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Le principali differenze tra donne e uomini in ambito lavorativo risultano essere legate:
• Alla segregazione orizzontale: il 30% delle donne lavoratrici sono occupate in settori che ricalcano i tradizionali lavori di cura come la sanità, l’istruzione ed i servizi sociali.
• Alla segregazione verticale: si fa riferimento al cosiddetto “soffitto di cristallo”: all’aumentare del prestigio e della retribuzione delle posizioni ricoperte, diminuisce il numero delle donne che le ricoprono.
• Ad un ineguale utilizzo del tempo: come sostenuto dalla Dott.ssa Federica Roccisano nella sua Indagine sull’ occupazione femminile in Italia (2019), la gestione del tempo per una donna può costituire un fattore discriminante che ha un effetto sulle sue scelte di carriera. La necessità di prendersi cura della propria famiglia porta molte donne ad avere meno tempo da dedicare al lavoro fuori casa. In questo modo la credenza sociale per cui la donna sarebbe la persona più adatta ad occuparsi dei figli e della cura della casa, induce i più a sottrarre del tempo al proprio lavoro per soddisfare le aspettative connesse al proprio genere.
• Retribuzione: le donne sono solite percepire una retribuzione inferiore rispetto agli uomini.
• Discriminazione: si verifica quando, nonostante si abbiano le stesse competenze, la stessa abilità e la stessa formazione, viene manifestata una preferenza per un candidato solo per il fatto che appartiene al genere maschile.
La discriminazione può avvenire in modo dichiarato ed esplicito, oppure in maniera inconsapevole. Questa può essere influenzata dagli stereotipi di genere: credenze rigide relative sia al mondo maschile che femminile, riguardanti comportamenti, abilità, competenze e preferenze.
Gli stereotipi di genere creano disparità, influenzando le scelte lavorative degli individui: portano a pensare che se una persona è di sesso femminile, sarà necessariamente più portata per determinati lavori, mentre se è di sesso maschile sarà più portata per altri.
Gli stereotipi, essendo pervasivi e spesso inconsapevoli, possono influenzare i responsabili delle risorse umane e portarli a formulare un giudizio a priori sulle competenze e capacità dei candidati. In questi casi si fa riferimento agli hiring bias, ossia a tutti gli errori che è possibile commettere più o meno inconsciamente in fase di selezione dei candidati. Si parla di gender hiring bias quando questi errori sono condizionati dal genere di chi cerca lavoro.
Questo concetto è ben esemplificato da una ricerca condotta da Hoover et. al nel 2019: si tratta di uno studio relativo alla discriminazione di genere in fase di selezione dei candidati, nel quale alcuni responsabili delle risorse umane erano tenuti a valutare potenziali manager, da cui è emerso come i selezionatori maschi, che si trovavano in una posizione lavorativa meno prestigiosa rispetto a quella della potenziale manager, tendessero ad assumere le candidate in misura minore e ad offrire loro un compenso meno elevato rispetto ai candidati di sesso maschile. Secondo gli studiosi, le persone incaricate della scelta dei nuovi lavoratori, avrebbero assunto questo atteggiamento avendo percepito la posizione delle candidate come una minaccia alla loro mascolinità.
Esiste una possibile soluzione che potrebbe ridurre al minimo il gender hiring bias: si tratta del curriculum anonimo, sperimentato in Finlandia nel comune di Helsinki. Come riportato su Inside Business, l’amministrazione municipale della capitale finlandese ha sperimentato un programma pilota che prevede la possibilità di essere assunti attraverso una candidatura anonima: alcuni dati personali come genere, età e nome presenti sui documenti dei candidati vengono cancellati prima di entrare nelle mani dei responsabili della selezione del personale.
I potenziali lavoratori vengono identificati mediante un codice a quattro cifre; si deciderà se fissare o meno un colloquio solo sulla base delle loro competenze ed esperienze lavorative precedenti. Il nuovo metodo ha portato a 41 nuove assunzioni in diversi ambiti lavorativi ed il progetto verrà esteso sino al 2021. I manager delle risorse umane si sono mostrati molto entusiasti di questa nuova iniziativa, tanto che uno di loro ha dichiarato in diretta nazionale che non è certo di voler tornare alle consuete modalità di reclutamento dei candidati. Il principale punto di forza di questo nuovo metodo è la necessità dei reclutatori di focalizzare la propria attenzione sulle caratteristiche del ruolo, e sulla corrispondenza tra queste e le competenze, la formazione e l’esperienza del candidato; in questo modo la potenziale influenza degli stereotipi relativi al genere sarebbe ridotta al minimo.
Nascondere il genere del candidato potrebbe dunque essere utile, almeno in un primo step, a superare tutte quelle credenze erronee per cui esisterebbero lavori “maschili” e lavori “femminili” e che portano a penalizzare le donne in ambito lavorativo, senza tener conto delle loro reali competenze. In quest’ottica, il curriculum anonimo appare come un possibile strumento di cambiamento sociale perché porta i recruiter a non badare all’aspetto del candidato ed ad invitarlo ad un colloquio per le sue capacità e competenze certificate e non presupposte. Inoltre, questo nuovo metodo, potrebbe incoraggiare i lavoratori ad avere maggiore fiducia nelle proprie abilità e a candidarsi senza timore.
E se il curriculum anonimo venisse adottato anche in Italia? Probabilmente aiuterebbe a ridurre la tendenza a giudicare i candidati sulla base di stereotipi e, di conseguenza, incrementare la partecipazione lavorativa anche di coloro che, seppur spesso oggetto di discriminazione, sono dotati di ambizione e talento.