Più di 10 stati americani decideranno chi salvare.
L’emergenza Coronavirus ci ha posto nella condizione di dover fare scelte gravose; la sanità italiana, in questi giorni, ne è un esempio: gli ospedali, saturi di pazienti e sprovvisti dei necessari presidi sanitari, reagisce in modo “bellico”; non si tratta di mettere a confronto due pazienti, ma di fare una scelta tra la logica e l’etica medica. Il libero arbitrio, in questo frangente, ha il peso di un boia.
Gli USA, di rimando, rincarano la dose e danno nuova mostra al proprio potenziale culturale, decidendo fin da subito chi possa considerarsi l’ultima ruota del carro. È un Paese che crede nell’industria, nel capitalismo sfrenato, in un’idea nazionale salda nel proprio estremismo patriottico. Trump, dal canto suo, incarna un po’ di quel qualunquismo e, conseguentemente, di quella freddezza.
I disabili non sono forza lavoro, sono una spesa; una spesa per una sanità che, già di per sé, ritrae la mano ai cittadini meno abbienti.
Niente respiratore per disabili o pazienti con scompensi particolarmente aggressivi; ogni porzione territoriale USA ha il proprio schemino.
In Tennessee sono letteralmente esclusi tutti coloro che soffrono di atrofia muscolare spinale; ulteriori complicazioni in Minnesota, per i pazienti con cirrosi epatica, malattie polmonari e scompensi cardiaci. A Washington – come a New York, Alabama, Tennessee, Utah, Minnesota, Colorado e Oregon – i medici hanno il dovere di valutare il livello di abilità fisica e intellettiva del malcapitato e considerare fattibile o meno il suo ricovero.
L’Alabama è tra i favoriti al podio: dalle fonti a nostra disposizione, si sosterrebbe che i «disabili psichici sono candidati improbabili per il supporto alla respirazione» – dal documento intitolato Scarce Resource Management, fonte però non accreditata dal sottoscritto.
Quando diamo uno sguardo alle problematiche italiane, ci dimentichiamo del lavoro svolto all’interno degli ospedali; non conosciamo il modus operandi degli operatori, dall’infermiere al medico; non conosciamo il peso morale di vedere pazienti che se ne vanno senza salutare, nel vero senso dell’espressione.
Dimentichiamo, inoltre, che la prerogativa fino ad ora seguita è stata: salviamo tutti. Nessuno escluso.
Il nostro Paese militerà nella più totale disorganizzazione e non mancherà di cadere in quei tranelli che tante volte, io stesso, ho sottolineato; mancanze sul piano sociale, economico, politico…
Tuttavia, quello che è avvenuto nei nostri ospedali, finché è stato possibile, è la voce di chi, del “Paese progressista”, se n’è infischiato; l’esaltazione di scegliere la vita, per tutti, indiscussa, anziché preferire la manodopera al disagio fisico; anziché aggiungere una tacca alla propria cintura, pur di competere economicamente con chissà chi o chissà cosa.
Ogni anziano, fino all’ultimo letto o respiratore, è stato soccorso; ogni malato, ogni cittadino il cui fisico già mostrava squilibri ancor prima del Covid-19, è stato rassicurato.
Oggi, in piena crisi sanitaria, ci tocca stringerci a quei medici che mai avrebbero voluto scegliere tra un paziente “migliore” ed uno “peggiore”.
Eugenio Bianco