Può essere considerato un gioco il tentativo di umiliare un compagno di classe, per di più disabile? Secondo alcuni genitori sì.
Alla fine di settembre in una scuola media torinese due ragazzi di undici anni hanno preso di mira un loro compagno di classe disabile. Durante l’intervallo hanno cercato di spingerlo in fondo al corridoio per mettergli le mani addosso e abbassargli i pantaloni. Una professoressa ha assistito alla scena ed è intervenuta chiedendo spiegazioni. Ha così scoperto che non si trattava di un evento isolato, bensì di un “gioco” che andava avanti da qualche giorno.
La nota per aver umiliato un compagno disabile
La docente, dopo essersi confrontata con la vicepreside, che assiste i colloqui, ha deciso di punire i due ragazzi con una nota sul diario. Ma i genitori non lo accettano. Il giorno seguente la mamma di uno dei due alunni ha replicato alla nota scrivendo sul diario del figlio:
La ringraziamo per l’informazione, ma visto che si trattava di un gioco, per quanto discutibile e da non ripetere, la invitiamo a non registrare la nota, vessatoria, sul registro di classe. Altrimenti saremo costretti a rivolgerci al dirigente.
La nota sarebbe vessatoria e deridere un disabile un gioco? Una visione un po’ distorta della realtà. La soluzione non è quella ovvia di rimproverare il proprio figlio, spiegando la gravità di quanto accaduto, bensì minacciare l’insegnante.
Anche la collega difende il figlio
Il giorno dopo l’insegnante, che ha semplicemente svolto il suo lavoro di educatrice, ha ricevuto una mail dalla seconda famiglia. La mamma dell’undicenne è anche lei una professoressa di quella scuola. Nonostante sia responsabile dell’inclusione dei disabili nell’istituto, sembra minimizzare l’episodio di bullismo contro l’alunno disabile. I toni usati nella mail sono più o meno gli stessi dell’altra mamma, ma i genitori arrivano addirittura a chiedere che l’insegnante si chiarisca con i ragazzi. Il rimprovero sarebbe troppo eccessivo: si rischia di danneggiare la reputazione del figlio nella scuola. Perché non si tratta di umiliare una persona più debole: è solo un “gioco”.
L’intervento (errato) del preside
La professoressa, sorpresa dalla reazione della collega,ha scritto una lettera al preside dell’istituto. La donna ha spiegato a “La Stampa” di essere “Stupita da un comportamento che non potevo accettare, perché metteva in dubbio la mia correttezza, volevo che fosse lui a prendere una posizione in merito“. Non ha però ottenuto il risultato sperato. Il preside ha convocato in palestra tutta la classe annunciando che “Visto che si comportavano male durante l’intervallo” sarebbe stata annullata la tradizionale gita di inizio anno. Nessun riferimento al caso di bullismo e ai responsabili. Nessuna comunicazione ai genitori.
In questo modo è stato punito anche il ragazzo vittima di bullismo, oltre che il resto dei compagni, estranei alla vicenda. La stessa tecnica veniva usata anche dal mio professore delle medie: facendo parte di una comunità, l’errore di uno si ripercuote su di tutti. Ragionamento che ha un suo fondo di verità, ma non bisogna mai dimenticare la responsabilità personale, responsabilità che quei due ragazzi non avranno mai se i genitori li giustificheranno sempre.
Proprio per questo la professoressa ha deciso di raccontare l’accaduto a “La Stampa”: “Se ho deciso di raccontare questa storia, è per sottolineare come, in queste condizioni, sia diventato impossibile tutelare la professione dell’insegnante e la deontologia professionale. Quel che più fa male, dopo anni dedicati a questo mestiere che è anche una missione, è vedere come certi genitori vogliano proteggere i proprio figli anche quando sbagliano. Lasciandoli disarmati e non educandoli ad assumersi le loro responsabilità”
Camilla Gaggero