Oggi 900mila persone in Italia possono dire di essere guarite da un tumore. Non pensa però lo stesso la banca che nega loro il mutuo o l’assicurazione che rifiuta la polizza: ecco a cosa serve il diritto all’oblio oncologico.
C’è Laura che vent’anni fa ha avuto un tumore al seno e a cui la banca nega il mutuo per aprire la sua scuola di ballo. C’è Francesco che oggi di anni ne ha 33 e vorrebbe adottare un bambino insieme alla sua compagna, ma non può perché tanto tempo fa ha avuto un tumore alla tiroide. C’è poi Lucia, che sei anni fa si è sottoposta all’asportazione di un neo maligno: è andato tutto bene, anche nel suo caso, eccetto per la polizza sulla vita che l’assicurazione ha rifiutato di contrarre con lei, a distanza di anni da quell’intervento.
Un nemico comune: la burocrazia
Sono storie di persone diverse, ma tutte hanno in comune un nemico, che non è solo la malattia oncologica che hanno affrontato, ma anche la burocrazia. Oggi in Italia sono più di 900 mila le persone che possono dire di essere guarite da un tumore. Si tratta di giovani, anziani, donne, uomini, lavoratori dipendenti, disoccupati, imprenditori che, a distanza di anni sperimentano gli strascichi della patologia, non solamente dal punto di vista medico ed emotivo, ma anche burocratico. Chi ha avuto una malattia oncologica, infatti, può incontrare delle difficoltà nel chiedere l’accesso a mutui, prestiti, assicurazioni e anche adozioni: anche quando è la medicina a considerarti guarito, la banca non è convinta.
Un problema a monte e uno a valle
I problemi, sono, principalmente due, legati rispettivamente alla causa e alla conseguenza della questione. Non concedere, per esempio, un mutuo a una persona che è guarita da un tumore è frutto di un retaggio risalente nel tempo: non si può negare, infatti, che anche solo qualche anno fa il tumore rappresentasse una malattia con poche speranze di sopravvivenza. Oggi, al contrario, molte patologie oncologiche vengono curate in modo efficace e garantiscono agli ex pazienti un’aspettativa di vita lunga. La conseguenza, dall’altra parte, di questo gigantesco bug nel sistema, è il pesante fardello psicologico che si porta dietro, con il rischio di identificare per sempre un soggetto con quel che è stata la sua malattia.
“Io non sono il mio tumore”
È proprio con lo slogan “Io non sono il mio tumore” che la Fondazione AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) sta portando avanti una campagna di raccolta firme per sbloccare la situazione. Dal 2005, l’ente affianca i malati e i loro familiari nel percorso di cura dopo la diagnosi oncologica e, in questo caso, sta cercando di indicare al legislatore l’esempio virtuoso di altri Paesi. Quello che AIOM chiede, infatti, è il riconoscimento del diritto all’oblio oncologico: le persone che hanno affrontato la malattia e che sono guarite, chiedono di essere trattate esattamente come le altre nello svolgimento delle pratiche quotidiane. In un Paese in cui la burocrazia non brilla certo per rapidità ed efficienza, chi è guarito da un tumore rischia anche di subire delle discriminazioni significative nella vita quotidiana.
I dati di oggi sui tumori e sui pazienti guariti
Non si tratta di poche persone. Secondo gli approfonditi dati che AIOM fornisce sul sito dell’iniziativa, nel nostro Paese 3,6 milioni di persone hanno ricevuto una diagnosi di cancro. Il 27% di questi può essere considerato guarito. Cosa significa, però, per la scienza “essere guariti”?
La risposta varia a seconda dei diversi tipi di tumori, ma il criterio generale è questo: un paziente oncologico guarisce quando arriva alla stessa attesa di vita della popolazione generale. Per un cancro alla tiroide, la guarigione arriva dopo meno di 5 anni. Meno di 10 anni servono per essere considerati guariti dal tumore al colon e dai melanomi. Più di 15 anni, invece, sono necessari perché la medicina consideri guarito chi ha avuto un tumore alla vescica e al rene. I tumori che, al contrario, hanno bisogno di più cautela e di un’attesa lunga 20 anni sono alcuni di quelli più frequenti, tra cui quello al seno e alla prostata. C’è, insomma, anche se minimo, il rischio che il cancro si ripresenti anche dopo lungo tempo.
I Paesi virtuosi sul diritto all’oblio oncologico
Quando dunque si contrae una polizza assicurativa o si cerca di acquistare casa magari tramite un mutuo, è normale che gli istituti indaghino sullo stile di vita, sugli stipendi e su tutta una serie di altri dettagli intimi delle nostre vite. Funziona così ovunque: la differenza, però, è che alcuni Stati garantiscono agli ex pazienti il diritto all’oblio oncologico, permettendo loro di non dichiarare di essere stati malati quando stipulano un contratto. Francia, Lussemburgo, Belgio, Paesi Bassi e Portogallo, negli ultimi due anni, si sono mossi in questa direzione attraverso delle leggi.
L’Unione Europea e l’oblio oncologico
Si sono adeguati, di fatto, a quanto prevede il Piano europeo di lotta contro il cancro. Questo progetto punta non solamente a garantire la sopravvivenza del paziente, ma anche ad assicurargli una vita “lunga, soddisfacente, senza discriminazioni e ostacoli iniqui”. Entro il 2030, la Commissione Europa, prevede di salvare 3 milioni di persone dal cancro, finanziando la Mission on Cancer. Anche in questo caso, uno dei tre pilastri, oltre alla prevenzione e alla diagnostica, è il sostegno alla qualità della vita.
Salvezza medica e basta?
Non basta, infatti, salvare una persona quando poi, anche se non frequenta più ospedali o sale operatorie, entrando semplicemente in banca, scatta immediatamente l’identificazione con la malattia, con quel che è stato e con quel che ha già fatto soffrire abbastanza quella persona e i suoi cari. Come si può pretendere che questa persona torni a condurre una vita assolutamente normale se poi, la burocrazia non fa altro che ricordare la sua condizione di ex malato?
A oggi quasi 50 mila persone hanno firmato sul sito di AIOM per sensibilizzare il Parlamento italiano sulla questione dell’oblio oncologico. Se sei interessato, puoi trovare qui tutte le informazioni.
Elisa Ghidini