Diritto alla riparazione: i RAEE e l’obsolescenza programmata

Diritto alla riparazione

Da marzo 2021 entrerà in vigore il primo regolamento dell’Unione Europea circa il “right to repair”, ovvero il “diritto alla riparazione”. A fine novembre 2020, infatti, il Parlamento Europeo ha approvato la risoluzione “Verso un mercato unico più sostenibile per le imprese e i consumatori”, basata sul piano d’azione per l’economia circolare già approvato dalla Commissione europea a marzo dell’anno scorso.

I diversi progetti avanzati dalla risoluzione non legislativa del novembre 2020 promuovono la riparazione e il riutilizzo degli apparecchi elettrici ed elettronici (AEE) con lo scopo di consolidare un circuito economico più sostenibile e alimentare la cultura del riuso.

Qualche dato sull’inquinamento da RAEE

Con la sigla Raee si indicano i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, particolarmente dannosi per l’ambiente non solo perché non biodegradabili ma perché contengono elementi pericolosi e tossici. Si tratta di una tipologia di rifiuti di difficile smaltimento che, tuttavia, continua ad aumentare anno dopo anno, più di ogni altro tipo di scarto domestico.

La velocità dell’innovazione tecnologica e la conseguente rapida emissione sul mercato di nuovi dispositivi, sommate all’assenza di una adeguata educazione circa la gestione di tali rifiuti, hanno fatto sì che il flusso di produzione di RAEE continui a crescere ad un ritmo preoccupante. Si stima che nel 2019, in tutto il mondo, ne siano stati prodotti oltre 53 milioni di tonnellate: secondo un tasso di crescita registrato di circa 2 milioni l’anno, entro il 2030 la quantità di rifiuti potrebbe superare i 74 milioni di tonnellate.

Davanti ad una simile prospettiva, diverse associazioni ambientaliste ma anche movimenti di esperti e amanti di riparazioni e fai-da-te, sollecitano da anni un intervento regolativo che limiti la produzione di rifiuti e di tecnologia usa e getta, riconoscendo al contempo l’importanza del settore delle riparazioni.

Che cosa comporta il diritto alla riparazione?

Il diritto alla riparazione sottolinea la necessità di fornire al consumatore la possibilità di riparare le proprie apparecchiature elettroniche ed elettriche senza dover ricorrere, forzatamente, al riacquisto.  Ciò prevedrebbe la messa a punto di una normativa che obblighi i produttori a fornire informazioni chiare circa la durata di vita e la riparabilità dei prodotti tecnologici.

In particolare, è prevista l’elaborazione di un’etichetta obbligatoria da apporre sui prodotti hi-tech che ne indichi l’indice di riparabilità, ovvero il grado di facilità con cui il consumatore potrà riparare il prodotto o sostituire le singole componenti, e una stima sulla durata di vita. Inoltre, le richieste fatte alla Commissione prevedono anche una radicale modifica dei termini e delle condizioni delle garanzie, da estendere anche ai pezzi di ricambio, e l’adozione di un caricatore unico, presumibilmente un connettore USB type C.

Secondo un sondaggio Eurobarometro sull’atteggiamento dei cittadini europei nei confronti dei problemi ambientali, il 77% dei cittadini dell’UE preferirebbe riparare i propri apparecchi piuttosto che acquistarne di nuovi, mentre il 79% pensa che dovrebbe essere obbligatorio per i produttori fornire adeguate indicazioni per la riparazione o sostituzione delle singole componenti.

Quali sono, allora, i fattori che rendono complicato riparare i prodotti nel caso di danni o guasti?

Innanzitutto, vi è il costo della parti di ricambio, spesso molto elevato, e in secondo luogo la difficoltà che si ha nel reperirli sul mercato. Ciò è dovuto al fatto che molte case e aziende di produzione, al di là delle normative che già regolano la sostituzione o il rimborso in casi di garanzia attiva, prediligono una politica commerciale e industriale che incoraggia al riacquisto.

La strategia che sta alla base di questo tipo di politica consiste nel predefinire la durata di utilizzo del prodotto tecnologico, ovvero il suo ciclo di vita, senza avvertire esplicitamente gli acquirenti. Tale strategia è conosciuta con il nome di obsolescenza programmata o pianificata: gli apparecchi elettrici ed elettronici, oltre ad essere deliberatamente prodotti con materiali di scarsa qualità che provocheranno un rapido deterioramento dell’oggetto, sono continuamente soggetti a piccole  e spesso irrilevanti modifiche di modello in modello, pubblicizzate come innovazioni strutturali.

I problemi legati all’obsolescenza programmata e alla pianificazione delle spese di riparazione come superiori ad un nuovo acquisto, necessitano da tempo di un di intervento mirato.  Si tratta, in effetti, di una battaglia che ha avuto inizio già decenni fa, prima negli Stati Uniti con associazioni come IFixit e poi anche in Europa con realtà come Repair.eu.

Per la Commissione europea si tratterà di un sfida complessa, dovendo trovare un equilibrio tra la tutela dei consumatori, il rispetto per l’ambiente e gli interessi delle grandi aziende di prodotti hi-tech, ma anche di un intervento risolutivo che non può più attendere.

Marta Renno

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