In Italia lo smart working non era ancora una realtà particolarmente diffusa prima dell’avvento del Coronavirus. L’emergenza sanitaria ha costretto aziende pubbliche e private a rivoluzionare il proprio assetto organizzativo adeguandosi alle misure di sicurezza. Lo smart working si è rivelato uno strumento flessibile e utile per ridurre la concentrazione di persone negli uffici. Non a caso il Governo, con il Decreto Rilancio, ne ha incentivato ancor di più l’utilizzo rendendolo obbligatorio per coloro che hanno figli di età inferiore ai 14 anni (art. 96 D.l. 13 maggio 2020).
Questa modalità di lavoro “casalingo” è stata inizialmente adattata, o forse è meglio dire improvvisata, da aziende che nel caos più totale hanno cercato di plasmarsi alle esigenze nazionali. La nuova realtà in cui il lavoratore si è trovato immerso, in molti casi, si è dimostrata ben lontana dal modello organizzativo previsto per legge. Lo smart working infatti deve garantire gli stessi diritti previsti dal proprio contratto di lavoro dipendente, a cui si aggiunge un’ulteriore tutela: il diritto alla disconnessione.
Diritto alla disconnessione
Chiamiamolo diritto di essere irreperibili. Di non dover necessariamente rispondere ad e-mail, chiamate, messaggi Whatsapp, videoconferenze. Diritto a disconnettersi, per l’appunto, per non rinunciare al proprio tempo libero.
Il diritto alla disconnessione è dettagliatamente regolamentato in Francia. Dal 2016, le aziende francesi con un numero maggiore di 50 dipendenti sono obbligate a garantire il rispetto del tempo libero del dipendente evitando di inviare comunicazioni al di fuori dell’orario di lavoro.
In Italia non abbiamo una specifica normativa a riguardo. La legge 81/2017 rappresenta l’unico riferimento normativo al c.d. lavoro agile e al diritto alla disconnessione.
Nel rispetto degli obiettivi concordati e delle relative modalità di esecuzione del lavoro autorizzate dal medico del lavoro, nonché delle eventuali fasce di reperibilità, il lavoratore ha diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche di lavoro senza che questo possa comportare, di per sé, effetti sulla prosecuzione del rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi.
Le criticità
Lo smart working probabilmente continuerà ad essere utilizzato fino al termine dell’emergenza sanitaria. Per tale ragione è auspicabile che quanto prima venga maggiormente regolamentato. Senza dubbio si è dimostrato funzionale, ma in termini di tutela d’integrità fisica e psichica del lavoratore quanto è efficace?
Un’indagine condotta dalla Cgil in collaborazione con la Fondazione Di Vittorio ha fatto emergere tutte le criticità legate al “lavoro agile”. Scarsa formazione ricevuta, totale assenza di orari di lavoro, l’inadeguatezza degli strumenti informatici. Penalizzate soprattutto le donne, che faticosamente sono riuscite a conciliare la vita familiare con quella lavorativa.
Arianna Folgarelli