I Diritti umani, si sa, sono sacri. Avere diritto al cibo, a un luogo sicuro in cui vivere, a essere pagati per il proprio lavoro, sembrano tutte banalità. E invece, anche di fronte a una ben nota Dichiarazione universale sui diritti umani promulgata nel 1948 dalle Nazioni Unite, ancora si deve combattere per la dignità e l’equità.
Sarebbe bello se a vigilare su questo non vi fossero solo i governi con le loro leggi o le associazioni internazionali a ricordarcelo con le loro denunce.
Ebbene, qualcos’altro c’è. Nel 2017, due anni dopo la definizione dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU per il 2030, è nato il Corporate Human Rights Benchmark (CHRB).
Cos’è il Corporate Human Rights Benchmark
Si tratta di un organo che riunisce più di 85 organizzazioni della società civile internazionale con l’obiettivo di valutare e classificare gli approcci di centinaia di grandi aziende del mondo sul tema del rispetto dei diritti umani.
Il CHRB nasce con la convinzione che le imprese private debbano contribuire al processo di cambiamento. Dal 2018 CHRB fa parte della World Benchmarking Alliance, un’iniziativa che riunisce benchmark diversi con l’obiettivo di indirizzare lo sviluppo economico in una direzione sostenibile.
Per il quarto anno, a fine 2020, il CHRB ha pubblicato la sua classifica aggiornata con la valutazione dell’attenzione ai diritti umani di circa 200 aziende internazionali. Nella classifica generale ci sono aziende tra le più importanti nei settori dell’estrazione di risorse, dell’abbigliamento, dell’agricoltura e dell’elettronica.
La competizione aiuta a rispettare i diritti
Mettere in competizione le multinazionali è un modo sano e onesto per portare all’attenzione delle stesse aziende ma anche della società civile, i temi del rispetto e dell’equità che altrimenti verrebbero trascurati. Non solo, i casi più virtuosi possono fungere da guida e ispirazione: l’obiettivo è portare sempre più aziende a trasformare le proprie dichiarazioni d’intenti in un vero cambiamento. Un cambiamento che si attua dapprima dentro le porte dell’azienda ma in seguito nella stessa società in cui l’azienda è inserita. Senza contare che l’attenzione ai diritti umani potrebbe determinare o meno il successo e la crescita economica di un’azienda, motivo in più per impegnarsi in questo senso.
Come funziona la valutazione
Il CHRB è stato il primo benchmark a valutare e classificare alcune delle più grandi aziende del mondo sulla base delle politiche e dei processi che mettono in atto per rispettare i diritti umani, e del modo in cui rispondono alle accuse che vengono loro mosse riguardo questi temi.
La valutazione viene fatta usando cento indicatori elaborati dal CHRB sulla base dei Principi guida sulle imprese e i diritti umani, un documento che fu elaborato dall’ONU nel 2011 proprio per fornire degli standard internazionali alle aziende private e prevenire gli effetti negativi che alcune attività economiche possono avere. A questi indicatori il CHRB aggiunge poi altri criteri basati sugli standard internazionali specifici del settore dell’azienda.
I dati in generale mostrano un generale miglioramento, ma alcune imprese sono ancora molto indietro. I due indicatori in cui la valutazione è cresciuta di più sono l’impegno assunto pubblicamente rispetto al tema dei diritti umani e la realizzazione di canali ufficiali per permettere ai singoli o alle comunità di segnalare all’azienda presunte violazioni dei diritti.
Il caso ENI
La prima azienda classificata è risultata la società energetica Eni. L’impegno è iniziato da diversi anni. Nel 2019, Eni ha cominciato a pubblicare un report per documentare il proprio impegno in materia di diritti umani. Quello del 2020, Eni for human rights, è uscito a giugno, solo sei mesi dopo quello dell’anno precedente, per poter rendere conto di alcune importanti novità: un nuovo Codice Etico, un nuovo Codice di Condotta per i fornitori e un nuovo sistema di gestione interno che permette di verificare che le politiche aziendali siano rispettate e valutate a tutti i livelli.
Quattro gli ambiti di intervento per focalizzare il proprio impegno al rispetto dei diritti umani: il rapporto con i dipendenti, il rapporto con i fornitori e i collaboratori, le relazioni con le comunità che vivono attorno alle sedi dell’azienda e le attività di sicurezza. In tutti questi ambiti l’azienda si è impegnata a seguire rigide procedure di controllo interno, allo scopo di prevenire violazioni e rimediare nel caso in cui si verificassero.
Ambiente e diritti umani
L’analisi mostra che non c’è correlazione tra attenzione all’ambiente e rispetto dei diritti umani: non è detto che le aziende più attente all’obiettivo di abbattere le emissioni di anidride carbonica siano anche le più responsabili dal punto di vista dei diritti umani e viceversa.
Secondo CHRB, quindi, per raggiungere davvero gli Obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030 è fondamentale che le aziende perseguano entrambi gli obiettivi, abbattere le emissioni e rispettare i diritti umani.
Marta Fresolone