I diritti riproduttivi in Romania stanno andando incontro a un pericoloso peggioramento negli ultimi anni: in un recente report la celebre ONG per i diritti umani Human Rights Watch ha denunciato la compromissione di diritti quali l’aborto, la contraccezione e la salute sessuale delle donne rumene. Nonostante l’esistenza di una legislazione che protegga tali diritti, nella pratica le donne non hanno ancora il pieno potere decisionale sui propri corpi, come sintomo di una (nuova) ondata pro-life retrograda che sembra aver investito l’intera Europa.
I diritti riproduttivi in Romania sono oggetto dell’ultimo report di Human Rights Watch intitolato “It’s Happening Even Without You Noticing: Increasing Barriers to Accessing Sexual and Reproductive Health Care in Romania“: attraverso interviste e testimonianze accompagnate da un’attenta analisi del quadro normativo rumeno di riferimento, l’ONG delinea una panoramica sui numerosi ostacoli che le donne devono fronteggiare nel campo della salute sessuale e riproduttiva.
I diritti riproduttivi in Romania sono protetti dalla legge MA…
L’aborto in Romania è legale fino alla 14esima settimana di gravidanza secondo le disposizioni del Codice Penale.
Nonostante ciò, il numero degli obiettori di coscienza è comunque molto alto: infatti, secondo un sondaggio del 2024 il 90% delle cliniche e degli ospedali in Romania negano la prestazione – il quadro diventano molto più preoccupante se si pensa che il Paese è primo in Europa per tasso di natalità tra le adolescenti.
La contraccezione e la pianificazione familiare sono garantite dalla legge ma le adolescenti minori di 16 anni devono avere il consenso di un genitore per accedervi. Inoltre, i contraccettivi non sono gratuiti e il loro utilizzo continua ad essere attorniato da un pesante stigma sociale.
Gli avanzamenti legislativi che sono stati fatti nell’ultimo decennio per promuovere l’educazione sessuale nelle scuole sono stati spazzati via dalle recenti politiche della destra conservatrice ultra-religiosa che ha ridotto la tematica alla cosiddetta “ideologia gender”, impedendo di fatto agli insegnanti di trattare argomenti concernenti la salute sessuale.
Tra barriere e disinformazione
Attualmente, il deterioramento dei diritti riproduttivi in Romania è in forte crescita, soprattutto per le donne già marginalizzate come quelle provenienti da aree rurali del Paese: questo è dato soprattutto dalla mancanza di infrastrutture sanitarie pubbliche che esercitano l’aborto (sia medico che chirurgico). In molti casi sono le stesse amministrazioni degli ospedali a negare tale pratica secondo una “regola non scritta”.
L’impatto della pandemia di Covid-19 sul sistema sanitario rumeno si fa ancora sentire e spesso contribuisce a mettere in pericolo i diritti delle donne, venendo largamente adoperato come una scusa per non offrire determinati servizi.
A questo si aggiungono poi altre problematiche come la mancanza di copertura assicurativa per negligenza professionale e la disinformazione da parte dello stesso staff medico riguardante la legislazione sull’interruzione di gravidanza.
Allo stato attuale le barriere di tipo economico sono le più difficili da combattere, soprattutto dato l’alto numero di persone che vivono sotto la soglia di povertà: nelle strutture pubbliche l’aborto può arrivare a costare fino a 1.500 lei (circa 300 euro) mentre la pillola anticoncezionale di emergenza costa in genere tra i 60 e i 74 lei (tra circa 12 e 15 euro), delle somme molto gravose per una persona che percepisce un salario minimo.
Human Rights Watch ha poi anche rilevato una tendenza volta a creare falsi miti propagandistici (come il cosiddetto “post-abortion trauma“) allo scopo di dissuadere le donne dal ricorrere all’aborto, a cui si accompagnano la mancanza di supporto da parte delle istituzioni statali e l’assenza di formazione adeguata di insegnanti e personale sanitario in materia di educazione sessuale con basi scientifiche.
L’insidiosa influenza della religione
A pesare maggiormente sulla regressione dei diritti riproduttivi in Romania è però l’ingerenza della Chiesa (soprattutto quella ortodossa ma in misura minore anche quella protestante), che ha dimostrato di possedere un’enorme capacità anche nell’influenzare le scelte dei decisori politici.
Infatti, i gruppi di matrice religiosa sono tra i fondatori dei Centri di Crisi per la Gravidanza (Crisi Pregnancy Centers) i quali si propongono di aiutare le donne con gravidanze indesiderate ma che in realtà promuovono una retorica anti-abortista ricorrendo a inganni e tattiche intimidatorie.
I movimenti religiosi sono spesso affiliati ad attivisti politici pro-vita che conducono congiuntamente delle campagne di massa allo scopo di promuovere i “valori tradizionali”, permeando la visione dell’opinione pubblica in merito ai diritti sessuali e alla comunità LGBTQ+.
Tutto ciò va in netto contrasto con gli standard e gli obblighi internazionali in materia che la Romania sta dunque apertamente violando e per cui HRW esorta il Paese a intraprendere le misure e le riforme necessarie affinché si raggiunga un pieno diritto alla salute sessuale e riproduttiva per tutte.
L’attuale panorama fa pensare a un pericoloso ritorno al famigerato Decreto 770 – paradossalmente promulgato durante l’epoca comunista caratterizzata dalla parità tra i sessi – con un ban sull’aborto e sulla contraccezione per le donne sotto ai 45 anni con meno di 4 figli.
Solo una completa de-criminalizzazione dell’aborto e un’eliminazione dei preconcetti attorno alla contraccezione, garantite mediante un adeguato supporto normativo e istituzionale, potranno portare alla piena liberazione sessuale delle donne in Romania.