In un imprevisto rovescio di situazione, gli sforzi per adottare nuove normative mirate a affrontare l’impiego fittizio nel settore della Gig Economy hanno subito un duro colpo per la seconda volta. L’opposizione decisa da parte di Francia, Germania, Grecia ed Estonia ha gettato nel caos la direttiva sui diritti dei lavoratori digitali dell’UE, sollevando preoccupazioni su un possibile rinvio alla prossima legislatura. Il blocco di minoranza, costituito da questi quattro paesi membri, che però portano con loro almeno 28 milioni di cittadini europei, ha votato contro la direttiva dell’Unione Europea sui diritti dei rider.
Una minoranza comunitaria decisiva
Il rifiuto da parte di Francia, Germania, Grecia ed Estonia ha rappresentato un duro colpo per oltre 28 milioni di cittadini europei coinvolti nella Gig Economy. Questo segna un altro passo indietro per i diritti dei rider, driver e tutti coloro che sono colpiti dal diffuso problema del lavoro autonomo fittizio. Nonostante un accordo raggiunto nei triloghi tra il Parlamento europeo e il Consiglio dell’UE, una minoranza di quattro Stati membri ha ancora una volta bloccato l’avanzamento della direttiva dell’UE sui diritti dei lavoratori digitali. Come già anticipato, questo è il secondo blocco che viene effettuato nei confronti dei diritti ai driver. La prima volta, nel 2021, il blocco era costituito da più di 10 stati membri.
Reazioni e perplessità sulla bocciatura
La decisione sorprendente ha lasciato molti, tra cui Elisabetta Gualmini, deputata del Partito Democratico nel Parlamento europeo e relatrice della proposta di legge, perplessi. Gualmini ha dichiarato: “Una decisione incomprensibile”. Il Parlamento europeo ha una maggioranza schiacciante e approverà il testo in prima lettura, mentre i governi assumeranno le proprie responsabilità.”
Complicazioni e possibili scenario futuri
La situazione si complica ora con le imminenti elezioni europee; potrebbe non esserci abbastanza tempo per un terzo trilogo. Tuttavia, il Parlamento europeo potrebbe garantire la propria posizione reintegrando il testo in prima lettura, rinviando la questione alla prossima legislatura. Nonostante le poche speranza che possa dare il prossimo trilogo – dialogo tra Commissione, Parlamento e Consiglio dell’UE – il problema di fondo è evidente: non si vuole avere un criterio unico, di matrice comunitaria, che possa garantire tutela e maggiori diritti dei rider.
In questo modo infatti, i rider non avranno alcuna forma di diritto: prima di tutto, non esiste un salario minimo, nessuna sicurezza sul lavoro o tutela medica, né ferie pagate o pensione. Ad ogni stato membro sarà lasciata la libertà di stabilire, nella maniera più profittevole per le grandi aziende e piattaforme a domicilio, il costo del lavoro sulla pelle dei rider.
Il quadro complessivo
Dopo la delusione durante le festività, il Consiglio dell’UE ha nuovamente vanificato un testo notevolmente meno ambizioso, alimentando ulteriormente il dibattito su una questione già in discussione. Sebbene il blocco contrario alla direttiva fosse più piccolo rispetto ai 12 Stati membri che si erano opposti all’accordo iniziale, la decisione finale è stata significativamente influenzata dall’Estonia, poiché Francia, Germania e Grecia avevano già dichiarato la loro opposizione. Alla fine, il governo estone ha scelto di allinearsi agli interessi delle piattaforme digitali.
Compromessi e le lamentazioni delle piattaforme
Il compromesso raggiunto l’8 febbraio dalla presidenza belga del Consiglio dell’UE aveva già indebolito la proposta iniziale. La questione più importante e difficoltosa erano si basava sui cinque indicatori scelti. Almeno due di questi dovevano essere obbligatori per la presunzione di un rapporto di lavoro subordinato.
La direttiva avrebbe modificato il lavoro da autonomo fittizio a subordinato per controllare e dirigere meglio i contratti generali delle aziende. Di conseguenza, i suoi lavoratori avrebbero dovuto godere di diritti come ferie, salario minimo, congedi parentali, permessi per malattia e contributi per la pensione, tra le altre cose. Insomma, anche in questa ultima proposta, i diritti dei rider non erano particolarmente “esagerati”, ma volti solo alla tutela dei contratti di lavoro a livello nazionale.
Tuttavia, la proposta per i nuovi e rivisti diritti dei rider non era mai stata ben vista, anche quella dell’ultima versione, risultato di un compromesso che ha deviato molto l’approccio europeo della direttiva dei diritti dei rider, a ogni Stato è stato lasciato il potere di determinare quali e quanti criteri introdurre per imporre le assunzioni alle piattaforme.
Diritti dei rider negati per milioni di persone
Per i 5,5 milioni di lavoratori delle piattaforme digitali stimati dall’UE erroneamente classificati come autonomi nei 27 Stati membri, questo non offre alcun sollievo. Questi lavoratori affrontano la negazione dei diritti lavorativi e sociali: salario minimo, contrattazione collettiva, orario di lavoro, protezione della salute e contro gli incidenti di lavoro, ferie pagate, disoccupazione, malattia e pensione.
Il ritardo come costante
Per la seconda volta, i paesi dell’Unione Europea non sono riusciti a trovare un accordo sulla cosiddetta “direttiva rider”, delineando nuove regole per garantire maggiori diritti dei rider tutele ai lavoratori nelle piattaforme digitali che effettuano consegne a domicilio. Un tentativo era già stato fatto lo scorso dicembre, e nell’ultima settimana, sembrava che fosse stato trovato un accordo per superare la posizione contraria di Francia, Germania, Estonia e Grecia. Tuttavia, venerdì, durante un incontro del COREPER, il consiglio dei rappresentanti permanenti dei governi dell’Unione Europea, dove si svolgono le trattative tra gli ambasciatori europei, è emerso chiaramente che un accordo sarebbe stato un obiettivo irraggiungibile.
La proposta iniziale e le controversie
La proposta originale, presentata dalla Commissione europea nel dicembre 2021, mirava a garantire maggiori diritti dei rider e i driver delle piattaforme digitali come Glovo, Deliveroo, Just Eat e Uber Eats. Il cuore della direttiva riguardava l’inquadramento contrattuale dei lavoratori delle piattaforme. Attualmente, secondo le stime della Commissione, più di 30 milioni di lavoratori delle piattaforme digitali in Europa potrebbero diventare 43 milioni entro il 2025, molti dei quali operano senza un contratto giusto, svolgendo di fatto il lavoro di un dipendente pur avendo un contratto da lavoratore freelance.
Lotta di potere dei diritti dei rider
Molti lavoratori delle piattaforme digitali hanno a lungo richiesto, come diritti dei rider, di essere considerati lavoratori dipendenti e non avere quindi diritti da autonomi. In vari paesi europei, negli ultimi anni si sono svolti scioperi e presentati numerosi ricorsi per sostenere questa causa. D’altra parte, le piattaforme sostengono che la maggioranza dei loro lavoratori preferisce l’indipendenza garantita dai contratti flessibili. Affermano che la loro funzione si limita a essere intermediari tra lavoratori e clienti, non datori di lavoro.
Uno sguardo al futuro incerto
Considerato l’andamento finora, è difficile immaginare che un nuovo accordo sui diritti dei rider possa emergere prima delle elezioni europee previste per giugno. Mentre la direttiva rider continua a essere in sospeso, milioni di lavoratori delle piattaforme digitali si trovano nella situazione precaria di lavoratori autonomi, privi delle tutele fondamentali che caratterizzano il lavoro dipendente. Con le questioni sulla Gig Economy ancora irrisolte, il futuro dei diritti dei lavoratori digitali in Europa rimane incerto. La lotta tra l’autonomia delle piattaforme e la sicurezza dei lavoratori sembra destinata a persistere, gettando ombre sulla direzione della regolamentazione del lavoro digitale nell’Unione Europea.